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Full text of "Leggenda eterna"

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LEGGENDA ETERNA 


INTERMEZZO ■ RISVEGLIO 


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VITTORIA AGANOOR 
POMPILI 


LEGGENDA ETERNA 

INTERMEZZO - RISVEGLIO 


SECONDA EDIZIONE 

con ritratto 



TORINO-ROMA 

CASA EDITRICE NAZIONALE 
ROUX E VlARENGO 
190} 


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PROPRIETÀ LETTERARIA 


(*469) 


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LEGGENDA ETERNA 


INTERMEZZO - RISVEGLIO 


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A GIUSEPPINA PACINI AGANOOR 


MIA MADRE. 

Mamma Cara, 

Tu hai vinto tutte le ynie antiche e vivissime ripugnan^^e 
con tre parole : « Fallo per me. » — Eccoti dunque il 
volume delle mie liriche. Chi seppe dei miei pertinaci ri¬ 
fiuti agli stimoli dei maestri e degli amici, e ai cortesi 
inviti degli editori, dirà ora con un sogghignetto beffardo : 
— « Oh finalmente, ecco dunque il famoso topo della 
leggendaria montagna ! » — Ma io col pensiero vedo il 
mio volumetto nelle tue mani — la mia anima nelle tue 
mani — ti vedo sorridere . e mi basta . 


VeneiiUy ' 99 . 

Questa la dedica che ti destinavo, mamma, quando la 
notte di dolore non era ancora discesa sulla mia anima,,. 

Tu non vedesti la dedica, non vedesti il volume . « Ma 

soltanto adesso nella tua nuova vita (consentite Antonio 

I — Aganoor 


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Foga:(p^aro ch*io ripeta le vostre parole) «f soltanto adesso 
con la tua potente visione di spirito » hai potuto leggere 
tutto il libro nel suo fondo oscuro, vedere gl'incerti pen¬ 
sieri, le varie fantasie, le passioni onde uscì verso a verso, 
lento e triste, portandone seco 1*ombra; saltando adesso che 
meglio mi sai e meglio mi ami, non curando lodi ni cen¬ 
sure altrui, cingendoti, nella memoria, con le mie braccia, 
lo consacro a te, 

Venezia, afflile i^o. 


La tua Vittoria. 


V, 


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PREFAZIONE. 


MAI! 


Sotto la luna i mille cavalieri, 
come a squillo che chiami alla raccolta, 
vanno, volano, ansanti, a briglia sciolta,, 
curvi sul crine dei cavalli neri. 


Ciechi, folli, non vedono, sui vaghi 
poggi, il grappolo offrirsi dalle viti, 
nè i casolari lampeggiar grinviti 
di pace, in riva agli assopiti laghi. 


No, no, no! Solo, luminoso, alato, 
bello d’una terribile bellezza, 
con voce di comando e di carezza 
chiama il sogno da tanti anni sognato. 


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4 


Prefaxioru 


Laggiù laggiù tenacemente chiama 
e laggiù Torcia turbinosa vola 
credula, dove una crudel parola 
spegnerà il foco dell’accesa brama. 


Sta l’orrenda parola nel profondo 
dell’abisso, che attira avido e inghiotte 
chi le malie sfidando della notte 
corre ai miraggi che non son del mondo. 


Ma che vai ! ma che importa ? — Il sogno mente ; 
tutto è invano! — Che importa? Avanti! io sono 
con voi, fratelli! e sprono e sprono e sprono 
il mio cavallo disperatamente. 


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LEGGENDA ETERNA 


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1 . 


IL CANTO DELL’AMORE. 


Può dunque una parola, una sommessa 
parola, detta da un labbro che trema 
balbettando, valer più d’un poema, 
prometter più d’ogni miglior promessa? 
può levarsi, a quel suono, una dimessa 
fronte, raggiando, qual se un diadema 
la cinga, e può dar tanto di suprema 
gioia, che quasi ne rimanga oppressa 
l’anima?... Io credo svelga oggi dai cuori 
ogni ricordo d’amarezza, ormai 
sazio d’umane lagrime, il destino. 

È cosi certo! non mai tanti fiori 
ebbe la terra, e il cielo non fu mai 
nè cosi azzurro, nè cosi vicino! 



n. 


IL CANTO DEL DUBBIO. 

Tace nella notturna estasi il cielo: 
come d’oblio profondo 
in un magico avvolto immenso velo 
cade nel sonno il mondo. 

— O luna! apporti al core, che le aspetta, 
le soavi novelle? 

Ancor m’ama? — Risponde: — È tardi, ho fretta: 
domandalo a le stelle. — 

Da le stelle qualcun par che mi guardi 
pietoso... — Oh dite! ancora 
m’ama? — E gli astri rispondono: — È già tardi, 
domandalo all’aurora. — 


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n canto del dubbio 


9 


Mesta Taurora ecco dal mar salire 
velata insino ai piedi. 

— M’ama? — chiedo. Risponde: — Io noi so dire; 
alle nubi lo chiedi. — 


E dellfe nubi alla crescente notte 
ecco il mio grido suona. 
Rispondono con lagrime dirotte: 
— Povero cor!... Perdonai — 


2 — Aganoor. 


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IL CANTO DELL’ODIO. 


Fugge al mar nelle fredde ombre del vespero 
una fanciulla dalle guance smorte. 

Non ha negli smarriti occhi più lagrime 
ma il gran proponimento della morte. 


Laggiù, tra lieti amici, allettan facili 
trionfi e vani amori un freddo core 
obblioso; laggiù di plausi echeggiano 
le affollate per lui stanze sonore. 


Dagli abissi, improvviso, assorge un demone 
e passa nella notte alto gridando: 

— Possa tu come un disperato piangere, 
quella morta fanciulla indarno amando. — 


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ADOLESCENTULA. 


Quando t’ho conosciuto era d’aprile, 
quel mese traditore 
che nell’ebbrezza del nascente amore 
pinge ogni cosa d’un color gentile. 

Quando t’ho conosciuto era d’aprile! 

E al di là della siepe io t’ho veduto. 

Tornavi polveroso 

dalla caccia; eri solo, eri pensoso. 

Mi rivolgesti un timido saluto. 

Al di là della siepe io t’ho veduto. 

Tornavi dalla caccia; sul cappello, 
largo e bruno, un irsuto 
pennacchio; la giacchetta di velluto, 
lo schioppo a spalla e... mi sembrasti bello 
sotto la larga tesa del cappello. 


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12 


Leggenda eterna 


Io tornavo dal bosco ov’ero andata 
a coglier dei ciclami; 
del mio sentier fra grintrecciati rami 
ti sarò parsa una silvestre fata 
di quei freschi ciclami incoronata! 

Ed era, ben ricordo, era il tramonto ; 
veniva su dai prati 
Talito sano dei timi falciati, 
la fragranza che vince ogni confronto; 
ed era, ben ricordo, era il tramonto! 

Ma fini quella dolce primavera. 

Ti rividi soltanto 

Tinverno, in un salotto, ed eri tanto 
diverso, Dio ! nelPabito da sera, 
coi solini alti e la cravatta nera! 

Io ripensai quei giorni spensierati 
e le campestri danze, 
quei sogni, quel desio, quelle speranze 
di due giovani cori innamorati, 
e ripensai quei giorni spensierati ! 


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Adolescentuìa 


n 


O fresco aprile o sano o4pr di timo ! 
Ridir t’udii tra i crocchi, una volgare 
celia, ti vidi, ignobile giullare, 
di que’ tuoi lazzi rider tu pel primo. 

O fresco aprile, o sano odor di timo! 

Tu nuove arguzie rimestando in mente 
di me non t’eri accorto. 

Io tremai come se vedessi un morto, 
un caro morto amato inutilmente, 
tra quella folla gaia e indifferente. 

Sul cor mi cadde, come un velo fosco, 
un subito sgomento. 

E a chi di te mi chiese in quel momento 
io rispondere osai: — Non lo conosco ! — 
Sul cor mi cadde come un velo fosco. 


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FINALMENTE! 


Dunque domani! il bosco esulta al mite 
sole. Ho da dirvi tante cose, tante 
cose! Vi condurrò sotto le piante 
alte, con me; solo con me! Venite! 


Forse... — Chi sa? — non vi potrò parlare 
subito. Forse finalmente sola 
con voi, cercherò invano una parola. 
Ebbene! Noi staremo ad ascoltare. 


Staremo ad ascoltare i mormoranti 
rami, nello spavento dell’ebrezza ; 
senza uno sguardo, senza una carezza, 
pallidi in volto come agonizzanti. 


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Tutto quel che Torgoglio avea dettato 
nei lunghi giorni deU’attesa al core, 
nei lunghi giorni deirobbllo, nelFore 
dell’odio (sì dell*odio l)y oggi ho scordato. 

E di vane speranze e di dolore, 
per Timmenso tesor che m’hai costato 
se un giorno io t’ho con tenerezza amato, 
t’adoro adesso con selvaggio ardore. 

Tu solo, tu mia gioia e mio tormento, 
che negli sguardi appassionati e mesti 
chiudi tanta d’impero alta malia, 
tu che in ogni splendor vivere io sento, 
solo tu, solo tu, vincer sapesti 
questa non mai domata anima mia! 



L’AVE. 


Alfine, alfine! ecco tutte 
le cose tacciono; il mondo 
tace. Regina o schiava 
qual mi vuoi abbimi! è questo 
il momento, per questo 
Tuniverso aspettava. 


Certo aspettava da cento 
secoli, e tutti chiedeano : 

— Che attende.^ E perchè questa 
tenace estasi, e tanto 
accendersi di stelle 
come faci a una festa ? 

Ecco la febbre dell’ora, 

scote di palpiti novi 

le Pleiadi e nel vento 

passa l’annuncio... O mio amore, 

unico amore, udisti 

l’Ave del firmamento? 


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O DOLCE NOTTE... 


O dolce notte, o notte 
chiara, ad un’altra somigliante, un’altra 
tanto lontana! O lunghi sguardi, o rotte 
parole, o gioia nel core compressa! 

Mi ripeteva: — Sempre! Sempre! — e l’anima 
bevea quella promessa. 


Beveva quel veleno 
benedicendo alla vita e all’amore ; 
or egli, sotto il limpido sereno, 
a un altro cor che innamorato cede 
la bugiarda parola osa ripetere. 

E un altro cor gli crede. 


3 — Agànoor. 


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RITORNO. 


Al suo tornar nella soHnga stanza 
chiesero Tombre del nido romito : 

— Dunque mentiva la dolce speranza? 
Dunque Tultimo sogno anche è finito? 
Ella sedette e immobile rimase 
con gli occhi persi in fantasmi lontani; 
poi finalmente, nascondendo il volto 
nelle piccole mani, 
scoppiò in singhiozzi. 


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DUE NOVEMBRE. 


Oh se potessi ancora 
sognar! ridirmi ancora: 

— egli m’ama, egli pensa 
a me, sempre; egli guarda 
questi limpidi giorni e pensa a me; 
guarda queste serene 
notti, ed incontro sempre 
l’innamorato suo pensier mi viene! 
questa lucente vita 

non gli par bella se non per me sola> 

e con me sola; tutto l’altro ormai 

follia, follia, follia, 

e nessuna parola 

lo accende o lo consola 

se non gli viene dalla bocca mia. 


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20 


Lt'cr renda eterna 


Quando verrà Tinverno 

coprendo il cielo d’una bigia trama 

di nuvole, e cadranno 

le lunghe piove e le melanconie 

sovra la terra; intorno a me, ch’egli ama, 

sarà il sole, una calda onda di sole, 

l’ardente soffio dell’intensa brama, 

la- viva vampa delle sue parole 

intorno a me, ch’egli ama! 


Ecco Novembre; s’aprono 
i cimiteri. Oh se potessi ancora 
sognar! L’inverno viene 
ed il sol ci abbandona. 

Oh se potessi ancora 
sognar! L’inverno viene 
ed il sol ci abbandona. 

Cadon le pioggie lente, 
s’aprono i cimiteri ; 
una campana suona 
interminabilmente. 


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A UN COLIBRÌ IMBALSAMATO. 


O piccioletto morto, 
fu bene a te funesta 
la screziata vesta 
di smeraldo e rubino! 
Eri troppo giocondo, 
eri troppo felice; 
e se dà gioie al mondo 
le dà brevi il destino. 


A luminosi monti 
sovra l’abisso oscuro 
viaggiavi sicuro, 
e il cielo azzurro e il flutto 
credevi tuo, credevi 
eterno quell’immenso 
tripudio, e non sapevi 
che solo eterno è il lutto. 


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22 


Leggenda eterna 


Dimmi, piccolo ucciso, 
in quel tempo beato 
cui da Dio l’era dato 
il cielo ampio cercare 
sulle aiucce tue pronte, 
che mai vedesti, oh dimmi 
di là di là dal monte, 
di là di là dal mare? 


L’ali aperte ancor tieni 
povero amor! Volavi 
verso brezze soavi 
dietro un sogno gentile, 
quando un umano, un forte, 
ti precideva il volo 
saettandoti a morte. 

Oh l’uom, quanto è mai vile! 


Mio povero uccellino, 
un tempo anch’io, lo sai, 
per l’etere vagai 
libera, e m’eran ali 


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A un colibrì imbalsamato 


23 


— ali ardite e possenti — 
i miei giovani sogni, 
i miei palpiti ardenti, 
le speranze immortali. 


Anch’io con volo aperto 
dietro un sogno d’amore, 
dietro un amico albore 
che mi ridea lontano, 
anch’io fui còlta, e il dardo 
mi lanciava un nemico 
ben più del tuo gagliardo 
che del mondo è sovrano. 


Tu, morto sei col sole 
negli occhi, in mezzo ai fiumi 
dei silvestri profumi 
e a sospirar la festa 
perduta mancò l’ora. 

A me, per la tenace 
cura che mi divora 
tutta la vita resta. 


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APRILE. 


Se mi fossi vicino 

e ti potessi dir quello ch’io provo 

o mio sospiro intenso; 

dirti che ormai non penso 

che a te, che ormai non vedo 

che te, dovunque; e i palpiti, e le pene 

Dirti. Tu pure io credo 

o mio tormento, mi vorresti bene. 

La primavera viene 
e Timpeto del cor si ringagliarda. 


Una febbre si sente 
di fuggir dalla gente 
sotto l’amica Luna, 

stretti mano per man, l’occhio rivolto 
aH’eterna del ciel cupola bruna 
mentre l’aria d’April ci batte in volto. 


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Aprile 


25 


Rabbrividir d’amore. 

Restar muti, cosi, senza guardarsi 

quant’è lungo il cammino 

in quel sogno divino, 

mentre le ardite brezze 

scambiano baci coi mandorli in fiore, 

baci fragranti e tepide carezze 

senz’ombra di sospetto e di rossore. 


4 — Aganoor. 


( 


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Quando ti vidi per la priiua volta 
Tanima mia si chiese : — 
già non mi vinse il fascino 
di quello sguardo? e come? 
e quando? c in qual paese? 


Quando parlasti, dentro la memoria 
risonò raffiochita 
eco d’un’altra voce 
e d’un’altra parola 
non so più dove udita. 


Chiara, precisa, del ricordo strano 
non una forma sola. 

Penso e ripenso invano: — 
di chi fu quella voce? 
quale fu la parola? 


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IMPRESSIONI DI SALOTTO. 


Lui rideva... Con l’anima negli occhi, 
le mani Luna dentro l’altra stretta 
nervosamente e fisse sui ginocchi, 
ella parlava, a bassa voce, in fretta, 
non curando gli altrui sguardi, gli sciocchi 
commenti, tutta in un desio ristretta, 
assunta fuor degli attornianti crocchi 
come in un ciel d’ebbrezza maledetta. 
gLui rideva!... E la donna altera e ambita 
che per tanti anni, come ascoso tarlo, 
s’era tenuto in cor l’amore e aveva 
visto ai suoi piò la folla inesaudita, 
seguiva a dire, a fremere, a pregarlo 
spasimando d’angoscia... e lui rideva!... 


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IN TRENO. 


Va nella notte Tanelante spettro 
tra le fragranze dei vigneti in fiore, 
va nella notte e da conquistatore 
schiavo il mio corpo si trascina dietro. 


Solo il mio corpo, Tinerte persona; 
ma dal possente che scintille esala 
ratto si sciolse con un colpo d’ala 
quel che laccio terren non imprigiona, 


Ed a ritroso migra nd un alato 
fratei che incontro cupido gli viene; 
libere vie liberamente tiene 
sui vinti gioghi e il mar signoreggiato. 


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In treno 


29 


SI, lo spettro che torbido viaggia 
lunge si porti il fremito degli ebbri 
sensi, il tumulto, le maligne febbri, 
gl’impeti della mia fibra selvaggia ; 


E a te venga, e di raggi e fior si valga 
a parlarti d’amor senza parola 
tutta Tanima mia, l’anima sola 
e la tua cerchi, e le si stringa, e salga! 


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SOTTO LE STELLE. 


Dormono i campi, non s’ode una voce. 
Solo un passo, che male 
discerno ove sia vólto, 
un passo lieve, ritmico, veloce, 
io nel silenzio della notte ascolto. 


Va, va, va, quel notturno pellegrino, 
e benché mai non resti, 
e benché sempre a un modo 
segua rapido e uguale il suo cammino 
io nella notte lontanar non l’odo. 


Va, va, va, come mi passasse accosto 

sempre, sempre, e fuggisse 

sempre un persecutore; 

va, va, il fantasma nell’ombre nascosto 

che cammina col ritmo del mio cuore. 


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Sotto le stelle 


3* 


Io sento io sento che una qualche stilla 

di vita, egli, passando, 

mi beve; ai miei pensieri 

ruba un sogno, al mio sguardo una scintilla, 

lorda di polve i miei capelli neri. 


Io sento ch’egli porta a dei lontani 

cuori l’oblio dei voti 

che travolse il destino, 

l’oblio dei cari di senza domani, , 

l’oblio di me che a ricordar m’ostino. 


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« STF.LLE CHIARE 


»>• 


Stelle chiare 
voi ridete, 
nè sapete 

queste mie pene segrete, 
queste mie lagrime amare. 
In quel vostro di quiete 
curvo mare 
sono forse velate are 
su cui vivide splendete 
sempre liete, 
sempre ignare, 
come i ceri sull’altare? 


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« LA VECCHIA ANIMA SOGNA... 


(Dal diario d*un*ignota). 


La vecchia anima sogna... Oh vieni! Andremo 
come allor, di silenzio e d’ombre in traccia, 
stretti per man, nella tranquilla sera 
d’aprile, senza proferir parola. 

La mia pallida faccia 

chiuderò intorno come una spagnola 

nella mantiglia nera, 

nè tu vedrai le rughe del mio volto 

già sfiorito, nè i miei grigi capelli. 

E torneran giovanilmente belli 
questi occhi, nelle miti ombre dell’ora; 
l’anima mia per essi (oh mie velate, 
stanche pupille che piansero tanto!) 
manderà lampi ancora, 

5 — Acanoor. 


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Leggenda eterna 


J4 


e ancora evocheremo, neH’incanto 
d’aprile, le passate 
estasi, e dolce invaderà lo spirito 
un bisogno di fede e di preghiera. 

Oh nella notte andar di primavera 

tra le fragranze delle prime rose 

e la solfa pacifica dei grilli! 

andar muti cosi, stretti per mano, 

nel sonno delle cose 

e il vivo fiotto dell’amor lontano, 

come onda che zampilli 

fresca e improvvisa fuor da un’arsa rupe, 

erompere dal nostro arido cuore! 

Non credi tu che il seppellito amore 
risorgerebbe?... Oh ch’io riprovi un’ora 
sola d’ebbrezza, un attimo d’oblìo 
per le angoscie daU’anima patite! 

Oh ch’io risenta ancora 
l’impeto nel mio cor di mille vite 
benedicenti Iddio, 

Dio che agli uomini diè la giovinezza 
e alla patria degli uomini l’aprile. 


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La vecchia anima sogna 


35 


Viene il vento recandomi un sottile 
odor di selva; annotta, e sui tranquilli 
campi l’ombre si stendono. Una nota 
limpida, sale, si ripete, erompe 
in improvvisi trilli, 
in una frenesia di gioia, ignota 
a noi, fatti di fango e di menzogna. 
La notte ascolta e beve da quel canto 
Testasi. La mia vecchia anima sogna. 


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DIARIO. 


1 . 

Eccomi finalmente sola!... ancora 
un altro giorno s’è compiuto; ancora 

10 per ore e per ore ho trascinato 

11 mio fantasma tra la gente; ho riso; 
detto parole; carezzato i bimbi 
altrui, con gesti lenti di persona 
tranquilla; ho passeggiato pei sentieri, 
ch’egli amava, con altri, e visto il velo 
della sera cader sovra i lontani 
monti, quei monti che con occhi accesi 
di gioia, contemplò, la mano stretta 
nella mia mano. Io feci anche presagi 
sul tempo, sulle messi e la vicina 
vendemmia e la raccolta, con sereno 
accento di serena anima! Alfine 
eccomi sola! Ancora un altro giorno. 
Fino a quando, o Signore! 


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IL 


Oggi ho trovato, 

in un vecchio scaffale, della vecchia 
musica manoscritta; aveano i tarli 
ricamato di strani fregi il foglio 
duro e giallo, consunto un poco e un poco 
accartocciato ai margini. Lo posi 
sul leggio; volli leggere. Le note 
erano a tratti svanite, ed io, tutta 
chinata innanzi, decifravo a grande 
fatica. Ma dai primi accordi un’onda 
di angoscia parve s’avventasse incontro 
a me... Più forte io risentii la stretta 
delle memorie, a me dicea l’antica 
gavotta, solo due parole: — Mai 
più; mai più, — Solo quelle due parole 
dicean le note... Chiusi il foglio; gli occhi 
più non vedeano... 

In un lontano giorno, 
chi sa? qualcuno apri questa ingiallita 
carta, sovra il leggio d’una dipinta 


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3» 


Leggenda eterna 


spinetta, tutto intorno istoriata ^ 
a pastorelle inghirlandate, in rosea 
veste, su prati in fiore, in riva a laghi 
cilestrini... Chi sa? Rideva il sole 
quel giorno sulla terra ed era forse 
una fanciulla, gli occhi ed il pensiero 
tutti pieni di luce, assisa innanzi 
al cembalo... Le note altre parole 
certo dissero a lei, certo cantarono 
alla sua giovinezza ebbra, una dolce 
lusinga, un inno, una promessa sola 
ma smisurata e perfida: — Domani! — 


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IH. 


« Domani! » — ... Che avverrà domani? Quale 

miracolo potrebbe una speranza 

risuscitare? Potrà mai la terra 

fendersi e scoperchiarsi un’inchiodata 

bara, e di nuovo accendersi due spenti 

occhi, e una bocca suggellata ancora 

aprirsi alle parole? Quelle rigide 

mani, potranno mai come una volta 

le mie stringere ancora? Ecco, domani 

io questo penserò, come oggi e ieri 

e sempre. Cosi i giorni, i mesi e gli anni 

passeranno, e dovrò, placida in volto, 

attendere ai doveri, ai modi, agli usi 

della vita; sorridere ai cortesi 

motti, pensare alle mie vesti, e dire 

parole... Sono tutte uguali ormai 

Tore per me, solo la notte è forse 

più tormentosa. Io penso i riposanti 

profondi sonni delPinfanzia, i lunghi 

obblii di quelli abbandonati sonni. 


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IV. 


Piove. Certo laggiù, povero morto, 
è freddo e buio, ma più freddo e buio 
è qui, qui sulla terra, ove le foglie 
son tutte gialle, e van col vento, e cadono, 
cadono, e il cielo copre una gramaglia 
fredda. È quassù l’algore, in questo immenso 
deserto, dove sola una smarrita 
anima va, senza più meta, incontro 
a un’infinita tenebra, sbanuta 
dalla tempesta che non posa, in questo 
inverno di dolore. 


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V. 


Eccole, sono 

qui tutte le sue lettere! rivive 
qui la sua man nervosa e scrive in fretta 
qui sopra il nome mio, chiude, suggella... 
Non fu ieri? Son tutte entro la bianca 
copertina. Con quale ansia le apersi 
in quei giorni lontani, e con qual gioia! 
Ecco, a questa la stecca impaziente 
lacerò un canto. Per tre lunghi giorni 
Tattesi ogni ora, e, nella notte, i sogni 
eran pieni di lei: giungeva ed era 
diretta ad altri; o protendea la mano 
a ghermirla e vedea come in vapore 
svanire il foglio... 

Alfine giunse! Alcuni 
amici conversavano e rideano 
con me; ricordo che tranquilla in vista 
la presi, la posai, volsi le spalle 
alla luce, e più attenta anche mi finsi 

6 — Aganoor. 


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42 


Leggenda eterna 


alle parole che non più la mente 
comprendea. Dentro, un palpito che tutta 
mi scoteva; nessun vide le labbra 
tremarmi? Certo io le costrinsi a un riso 
fine e pacato... Dopo... Oh finalmente 
sola, strappai la carta ! 

Ormai finito 

è tutto, tutto è vano; e quasi adesso 
esito a trarne il foglio. 

Eccolo! steso 

dinanzi a me, ma gli occhi una parola 
soltanto posson leggere; una nebbia 
vela subito gli occhi... È la parola 
dolce e crudele come la memoria 
d’una carezza che più mai due morte 
mani potranno ridonarci : — Cara ! — 


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E tornerà la primavera! I vesperi 
sereni dell’Aprile torneranno 
ancora; tornerà l’aria impregnata 
d’odore, e in alto, in un clamor di gioia 
passeranno le rondini. 


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VII. 


Leggiamo ! 

E tutti i nostri torbidi pensieri 
siano travolti come dentro un gorgo 
dagli altrui. Qualche eccelsa anima prenda 
la nostra come in pugno e la costringa 
ad ascoltare la sua voce. Il libro 
intonso, invita. Forse una parola 
chiude consolatrice? Apriamo a caso. 

Ecco : — ‘‘ Quello che fu pei nostri ingenui 

precursori l’assidua ricerca 

dell’ideale e della verità 

e della gloria, le correnti indocili 

del secol nostro han fatto ora un’industria 

patentata : l’industria del balocco 

verbale „. — 

Vero e triste! Ma che importa 
a me, che importa dell’arte, del vero 
della parola? Unico e tremendo 
vero questa continua tortura 


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Diario 


45 


dei ricordi. Potrò mai per un attimo 
dimenticare? potrò mai le nuvole 
bianche, come ali bianche, e il sole e i fiori 
e i prati e il mare, come un tempo, ancora 
guardar serena, senza udir Tamara 
domanda dentro : — ‘‘ Perchè adesso ride 
la terra? Perchè tutto è ancora in festa? 
che vale ormai!... „ 


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INTERMEZZO. 


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PAESAGGI. 


NEL VECCHIO PARCO. 


O distese di prati, 
o sfumature molli 
di cilestrini colli 
dai vertici rosati ; 


Pia brezza vespertina, 
onde modeste e chete, 
Tanima mi rendete 
di quando ero bambina ! 

Aganoor. 


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50 


InUrmeixp 


Datemi per brevi ore 
quella vergine mente, 
quel gran core innocente 
tutto pieno d’amore; 


Scordi Tanima mia 
esperta di sventura 
che spesso si spergiura 
e più spesso si obblla. 


Oh fate che a una calda 
parola, ancora io possa 
con Tanima commossa 
dar fede intera e salda! 


Pia brezza vespertina, 
onde modeste e chete, 
Tanima mi rendete 
di quando ero bambina! 


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IMPRESSIONI VENEZIANE. 


UNA PROCESSIONE IN CANNAREGlO. 


Passa lento il corteo. Forse le prore 
repubblicane ad acclamar vincenti, 
tonache e stole un di non altrimenti 
moveano, al lume deiradriache aurore. 


Sta sul ponte il corteo. Ma il giorno muore 
oggi, nei flutti algosi e sonnolenti, 
ma una pace d’oblio tiene or le genti 
che fur della lontana Asia il terrore. 


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hiterme\\p 


;2 


Alto su tutti, nella luce spande 
il perdono del ciel sovra il felice 
gregge, il Pastor, col gran segno divino. 


Laggiù nelle lagune anche un più grande 
ostensorio balena, e benedice 
airarte di Carpaccio e Giambellino. 


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SCHIZZO. 


La Luna rossa e tonda 
si leva su dai prati 
lontani, che di cenere 
la notte ha colorati. 


Dell’infinita landa 
la grigia tinta uguale 
solo rompe il fantasima 
d’un candido casale. 


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54 


ìntermexx^ 


Sorride il plenilunio 
a quel candor; sull’aia 
un nero cane immobile 
guarda la luna e abbaia. 


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DICEMBRE. 


Qua e là per la campagna irti si drizzano 
al cielo i rami delle piante esauste. 

Piove; incombe sull’ampia solitudine 
desolata, il silenzio. 


Sulla deserta immensità deU’anima 
talor mute cosi piovon le lagrime; 
umane braccia cosi al ciel protendonsi 
talora, emunte e supplici. 


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GRANDINATA. 


Sotto la fitta grandine 
pregano le campane desolate 
con la voce dei secoli: 

— Signor Signor, cessate! 


Cessate dal percotere 

chi alla terra non chiede altro che il pane, 
cessate dal distruggere 
severamente le speranze umane. 


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Grandinata 


57 


Son tanti anni che soffrono, 

tanti anni che v’implorano, o Signore; 

e stanchi ornai si chiedono 

se Voi siete e da Voi viene il dolore. 


o piuttosto uno squallido 

deserto è il cielo che l’uman pensiero 

nell’angoscia si popola, 

sfuggendo al vuoto orror del cimitero! — 


Sotto la fitta grandine 
pregano desolate le campane 
con la voce dei secoli: 

— pietà, pietà delle sciagure umane! — 


E intanto ecco dall’ultimo 
oriente, la luna erge il suo pieno 
disco ; sul mar di nuvole, 
ecco, intanto laggiù rompe il sereno. 

S — Aganoor. 


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5» 


Intermedio 


Mite sorride agli uomini 

la bianca luce e le campagne inonda, 

mite come un rimprovero 

materno, che ad accusa empia risponda. 


La gran voce dei secoli 
nel diffuso chiaror s’accheta e tace; 
ogni altro suono affondasi, 
lento, nel mar della notturna pace. 


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VESPERO. 


Laggiù nei prati Tombre s’allungano 
dei pioppi; assorta nel cheto vespero 
la verde pianura si stende 
incontro all’alto mar d’ametisto. 


Mori la lunga nota dell’ultima 
stornellatrice ; tacque l’allodola 
nell’alto; non s’ode che un largo 
bisbiglio, all’erbe sotto e tra i rami. 


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6o 


InUrmeTiXP 


Come talora vibran nel tempio, 
dopo i cantati salmi, de’ monaci 
l’estreme preghiere sommesse 
rimormorate lasciando il coro. 


Saigon dall’erbe recise effluvi 
di moribondi fiori. A me salgono 
dal core i ricordi, fragranze 
vostre, o morenti fior del passato! 


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VISIONE. 


So d’un palazzo dalle mura antiche 
triste cosi ch’ha di sepolcro aspetto; 
bruno di muschi dagli sproni al tetto, 
ingombro .l’atrio d’edere e d’ortiche. 


Dentro, un’ava grinzosa, in sè raccolta 
dinanzi al focolar deserto e spento, 
segue a narrar con infantile accento 
una leggenda che nessuno ascolta. 


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VAL DI SELLA 


(tirolo) 


V’ha una valle beata, 
di vette incoronata eccelse e belle; 
dal suo cielo le stelle arcani lampi 
mandano ai verdi campi, e ai primi albori 
sbucciano fiori ch’han del cielo il riso. 

È un dolce paradiso che a Dio piacque 
d’ombre spargere e d’acque e di gioconde 
farfalle vagabonde e pace eterna 
diresti che governa questa valle. 

Eppur, per ermo calle e dentro i foschi 


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Val di Scila 


63 


Sentier dei boschi, talor s’ode il vento 
metter come un lamento o ruggir forte 
quasi nunzio di morte, e talor anche 
ti giungono le stanche ultime strida 
d’un augel, che Tinfida aquila al petto 
vorace si tien stretto, e ad ogni speco 
torna e ritorna un’eco acerba e lunga 
che un giorno fia che giunga ultima al cielo. 


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PAESAGGIO ESTIVO. 


Maligne vampe via per la pianura 
sterposa, l’erbe abbrustiano; lontano 
d’un acquedotto la ruina oscura 
par la vasta ombra d’un curvo titano. 


La cicala, il sopor meridiano 
sola rompe in sua stridula misura; 
muggito non s’ascolta o canto umano 
in queirimmenso tedio di natura. 


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Paesaggio estivo 


65 


Fugge il ramarro e va tra sasso e sasso, 
mentre nell’alto il crocidar si spande 
d’un corvo, in vetta alla cadente mole; 


Più lunge ecco venir con tardo passo 
un bufalo solingo e far più grande 
quel gran deserto cui sovrasta il sole. 


9 — Aganoor. 


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PIOGGIA. 


Piovea; per le finestre spalancate 
a quella tregua d’ostinati ardori 
saliano dal giardin fresche folate 
d’erbe risorte e di risorti fiori. 


S’acchetava il tumulto dei colori 
sotto il vel dellj gocciole implorate; 
e intorno ai pioppi, ai frassini, agli allori 
beveano ingorde le zolle assetate. 


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Pioggia 


67 


— Esser pianta, esser foglia, essere stelo 
e neU’angoscia delFardor (pensavo) 
cosi largo ristoro aver dal cielo! — 


Sul davanzal protesa io gli arboscelli, 
I fiori, Terbe, guardavo, guardavo... 

E mi battea la pioggia sui capelli. 


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CANTO D’APRILE. 


Canta una voce: — O genti dolorose 

10 vengo, io vengo ! Aprite alle speranze 

11 core, aprite le rinchiuse stanze 
alla giungente carica di rose. 


Io vengo, io vengo! Ogni deserto ed ogni 
rupe fiorisce; levate la testa 
e sorridete; io vengo per la festa 
meravigliosa, carica di sogni. 


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Canto d*aprile 


69 


D’un più costante e luminoso Maggio 
la promessa vi reco. O contristati 
cuori, o negletti, o vinti, o disamati, 
o vacillante umanità, coraggio! — 


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PER MIA SORELLA MALATA. 


O ramoscel di pesco, 

alla sorella mia reca l’odore 

del vasto prato costellato e fresco 

odor d’Aprile odor di piante in fiore 

alla sorella mia sveglia nel core 

immagini di gioia e di candore, 

o ramoscel di pesco! 

D’un fiumicello a lato 
laggiù nel prato 

la famiglinola ecco seduta a desco; 


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Per mia sorella malata 


Intorno brilla il sole e ride Aprile, 
intorno è un pio tepore, 
un alito gentile 
d’innocenza e d’amore. 

Sovra il giocondo desco 
all’aria che lo move 
rosee corolle piove 
ebbro di sole un pesco. 


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PIOGGIA D’AUTUNNO. 


Questa mane è piovuto, e alla mia stanza sale 
dalle aperte finestre quell’odore autunnale 
dei boschi, che risuscita forme e sogni scordati 
abbadie scure e mute; monaci incapucciati; 
vecchie selve, dimora favolosa di maghi 
dalla bacchetta d’oro; grotte profonde, e laghi 
tetri, dal fondo verde d’alighe lunghe e folte, 
forse chiome ribelli di naiadi, sepolte 
sotto quell’acjque... 

A quando a quando il sol percote 
la parete di contro, e muta tinte e note 


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Pioggia (^autunno 


73 


a quel mobile mondo di fantasmi... È fuggita 
ogni strana sembianza; ecco il sole, la vita, 
la giovinezza, il vero! Che risi seduttori 
che inviti, in quel suo bianco raggio d’autunno! 

€ Fuori ! — 

(sembra dir) — « l’aria è fresca, i prati sono ancora 
verdi, e Cerere amica d’auree messi colora 
i campi; oggi risplendo a festa, ma non giuro 
d’esser l’ugual, domani; lo sapete, è sicuro 
solo l’istante, l’ora fugge e i maligni fati 
v’invidiano le feste; dunque fuori! sui prati, 
alle colline! Avanti! che l’inverno è alle porte 
ed avrò un bel risplendere se le foglie sien morte 
e la neve distesa sulle zolle deserte 
di vita ! » 

E intanto fulgida dalle finestre aperte 
entra un’ondata bianca e m’invade la stanza 
e spia per ogni dove come un bimbo in vacanza; 
fruga tra i libri, scherza sul minuto lavoro 
degli stipi, a ogni ninnolo dà una pagliuzza d’oro 
e ride... 

Io vorrei correre ai colli alti, al divino 
aer libero e fresco, ma... sovra il tavolino 

IO — Aganoor. 


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74 


Intermei{0 


un nero volumone mi guarda, fa il dpiglio, 
m’ammonisce, borbotta. Come è ingrato il consigliò 
che mi dà quel maestro inflessibile e grave! 
il cielo è cosi bello! Taria cosi soave! 
forse... è Tultimo giorno di festa. 

O che mi serbi 

tu, libro tenebroso? fórse dei veri acerbi 
e nuiraltro... 

No! meglio ristante spensierato, 
il sogno, anche se breve, il fantasma, evocato 
da un raggio bianco e un ramo di gocciole coperto... 
corriamo ai prati, ai colli, all’aperto, all’apertDl 


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NOVA PRIMAVERA. 


Nel gran sereno passano leggiere 
nuvole, lente nuvole pensose 
come assorte in lantani 
ricordi, di lontane primavere. 

Giù sulla terra sbocciano le rose, 
ma come stanche ; pensano i sovrani 
•fiori, d’un’altra remota stagione... 


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76 


InUrme^jp 


I bianchi fior che il giovanetto Adone 
tinse di sangue, e le fanciulle greche 
ridenti al sole givano cogliendo 
su Ciprigna a profonder le corone. 

O bellissime vergini! le bieche 
parche, al mirarvi, trattenean Torrendo 
ferro, pronto a recidere lo stame, 

e d’Afrodite pel vasto reame 
correva un ineffabile clamore 
fatto di risa, fatto di canzoni, 
voci improvvise d’improvvise brame, 
flutti di queU’oceano d’amore, 
e fra i roseti andavano i garzoni 
voi rintracciando, e il sol benedicea. 

Fumavan Tare sacre a Citerea, 
e su quel mar di vergini e di rose 
fissava immota i grandi occhi pagani 
bianca tra i fior l’effigie della Dea. 

Più non fumano adesso le corrose 
are, e polvere son le bianche mani 
ch’arder facean la vita ed il piacere... 


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Nova primavera 


77 


Tornano chiare e tepide le sere, 
torna l’Aprile, tornano le rose 
ed a sognar ritornano gli umani, 
ma nel sereno passano leggiere 
nuvole, lente nuvole pensose, 
come assorte in lonuni 
ricordi, di lontane primavere. 


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L’ULTIMA PRIMAVERA. 


Dicono Terbe nove, 

dicon le siepi di virgulti piene: 

— questa, che incerto move 
lo stanco passo e sospirando viene, 


certo smarrì la traccia ; 
non sai che qui s’appresta 
la portentosa festa 

d’Aprile, o donna dalla smorta faccia? 


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L'ulliììij, initfiavera 


79 


Noi vogliamo gioconde 

frotte di bimbe e garzonetti a mille, 

noi vogliam trecce bionde 

e risa e sguardi pieni di scintille; 


oggi, tra canti e danze, 

sotto i mandorli in fiore, 

passa il corteo d’Amore, 

il bel corteo di sogni e di speranze. 


Via, via! dà luogo! i suoni 
già non odi venir laggiù dai prati 
non odi le canzoni 
rivelatrici degli innamorati? 


Oh quella faccia smorta 

vélati, e va lontano; 

ogni lamento è vano 

quando la bella giovinezza è morta. — 


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8o 


InUrmexxp 


La mesta pellegrina 

ch’ode lo scherno striderle a le spalle, 

s’afFretta per la china 

che al burron mena dairaperta valle; 


invano, invan mercede 
aU’erbe, al sole, al vento, 
nel cupo smarrimento 
quella stanca ferita anima chiede. 


Con l’occhio innanzi fisso 

va dove oblio promette e fine ai guai 

la voce dell’abisso; 

va con alta la fronte e vinta ormai 


ogni codarda tema... — 

Dietro, sui prati in fiore, 
passa il corteo d’Amore, 

L’eco d’una canzon neU’aria trema... 


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NOTTURNO. 


Ecco la cerula notte, la placida 
notte d’estate! 

Miti bisbigli, lucenti palpiti 
di stelle, tepide fragranze, entrate! 


Tutte ad accogliervi mi protendo avida 
sul davanzale; 

dolce sommergersi dentro la libera 
marea degli esseri che scende e sale ! 

— A<;anoor. 


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82 


InUrtnexXP 


Pensose ascoltano l’ombre del memore 
parco; le stanze 

di sotto echeggiano aperte; cantano 
sul vecchio cembalo vecchie romanze. 


Ed ecco, svegliano le note un popolo 
d’ombre; la mente 
le vede in rapida fuga rincorrersi; 
il cor la mistica voce ne sente. 


Parole tornano che un di si accolsero 
con disattento 

orecchio, e parvero scure; ora Tintimo 
foco sprigionasi dal freddo accento. 


Tornano supplici sorrisi e pallidi 
volti scordati. 

Un’onda tremula nel plenilunio 
bianco, tra il placido sonno dei prati. 


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Notturno 


83 


Spettrali, d’edera avvolte, sorgono 
Certose, e strane 
ombre di monaci, sfilanti tacite 
ad un monotono suon di campane. 


Torna d’un ultimo sguardo, d’un avido 
sguardo d’addio, 

tutta la perfida dolcezza (o palpiti, 
o angoscie, o lagrime date all’oblio!) 


Nell’aria salgono le note a perdersi 
nell’ombra folta 

narrando storie dolci e terribili. 
Muta ed immobile la Notte ascolta. 


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DALLA TERRAZZA. 


Oh quanta pace intorno, 
oh come stellata è la notte! 
Non qui, stesa nelEampia 
poltrona di giunchi, su questa 
loggia, aperta sull’alta 
vallata, dinanzi alle scure 
montagne; ma librata 
neU’aria, siccome una lieve 
spora, un vapore, un’ombra 
mi credo, e in eterno vorrei 


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Dalla terraxx^ 


85 


che durasse quest’ora; 
che sempre, in eterno, durasse 
questo celeste sonno 
dei sensi. 

O dolcissima notte ! 
o notturna dolcezza! 

Mi guardan da presso, coi gialli 
occhi, le avviticchiate 
vitalbe. O guardate, guardato! 
ben è davvero un novo 
miracolo questo ; guardate ! 
Guardate ! una vivente 
felice!... Oh che sempre durasse, 
sempre, questo fugace 
riposo, o stupendo universo 
per adorarti ! 


Squilla 

uggiosa nell’alta quiete 
una tromba. Il silenzio, 
il sonno forzato, la grave 
afa dei cameroni 


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Intermedio 


gremiti, alla notte racconta 
lo squillo. Invano Torà, 
o grami fratelli, v’invita 
sotto il libero cielo, 
all’aria, a quest’aria fragrante 
di caprifoglio in fiore, 
di glicine in fiore, dell’alito 
fresco, che dopo il lungo 
tripudio sotto i fiammanti 
baci del sole, sazie 
esalano l’erbe, le piante, 
mentre la notte, l’ala 
sovr’esse agitando, le induce 
alle tregue feconde. 

Invano invano, o rinchiusi 
nelle infette caserme, 
vi chiama la sera, quest’ampia 
bellezza, questo immenso 
oceano d’atomi d’oro 
palpitanti, ove affonda 
in pace d’oblio l’inquieto 
spirito. O miei fratelli, 


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Dalla UrraxXfi 


87 


perchè vi è contesa la dolce 
ebbrezza di quest’ora? 

Perchè più tranquillo gioisca 
altri? Perchè non tema 
di gente nemica, indifeso, 
le superbe disfide, 
o rabbia di popolo, o pronto 
impeto d’invasori? 

Perchè, se lo vinca follia, 
a sua volta, di nove 
conquiste, e più larghi dominii, 
a sua volta ne possa 
bandir la novella alle genti 
con parole di tuono, 
e pronti egli v’abbia, o fratelli, 
pronti a versarlo tutto 
il giovane sangue, e le vecchie 
madri piangano, e pianga 
la vostra fanciulla, e la terra 
tutta imprechi alla strage? 

O stelle innocenti, o serene 
stelle, dite; — non empio 


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88 


InUrmeiio 


è questo? Non degno d*insane 

ferocissime belve 

piuttosto che d’uomini, d’alte 

menti, che la ragione 

rischiara traverso la notte 

terrena, rivelando 

che vano, che improvvido è tutto 

fuor che l’intimo, assiduo, 

magnifico sforzo al fatale 

ma faticoso ascendere 

umano, a più larghe correnti 

di pensiero, a più libere 

coscenze, a quel sempre velato 

ma onnipossente fascino 

che in ombra ci appare se dormono 

i sensi, e ci balena 

talora tra i lucidi abissi 

del cielo, e nella immensa 

bellezza di tutte le cose; 

e ci chiama, e ci attira, 

e pronti ci vuole al comando 

d’attingere per gli aspri 


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Dalla terrax^a 


89 


innumeri gradi, le altezze 
arcane, dalFerrore 
sciogliendoci e sempre affinando 
l’essenza nostra? È questo 
possibile, o stelle, se dura 
la notte dentro i cuori ? 

O stelle purissime, voi 
ben sapete che senza 
quest’orda malvagia di stolte 
ambizioni, intesa 
da secoli a empir di follia 
le menti, — questi umani 
incogniti abissi, — ciascuno 
aver potrebbe un pane, 
avere una goccia d’amore 
senza battaglie e senza 
malvage tirannidi e tristi 
schiavitù. Non è vasto 
il mondo? e non tutti riscalda 
il sole? e non per tutti 
matura le mèssi? d’un pane 
e d’un sorso d’amore 

12 — Ar.ANOOR. 


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Intermedilo 


sol bisogniamo in questo 
brevissimo esilio; da un’unica 
speranza scòrti, un solo 
ardor non dovrebbe lo spirito 
sospingere? una sola 
bellezza infiammarlo, una sola 
spronarci a segrete battaglie 
idea superba: Ascendere? — 


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PAGINA DI DIARIO. 


Giorno limpido e triste! Ho dentro l'anima 
un'insolita voce che si lagna 
d’un male ignoto. Come una sonnambula 
io guardo il cielo, guardo la campagna 
e il decrepito sole e la decrepita 
terra, e qui noto e fermo questa mia 
ora di vita: aggiorna; i campi ridono 
ma d’un sorriso di melanconia. 


La famiglia dell’erbe e delle piccole 
piante, dal gelo mattutin ferita, 
china, in atteggiamenti melanconici 


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92 




par che alle zolle mormori: — « Hfinita! » — 

E una foglia, sospesa a un’invisibile 

fibra, tentenna senza vento, e dire 

sembra al suo triste ramo, con monotono 

ritmo: — « Io non voglio, io non voglio morire! » — 


Molto quest’autunnale ora somiglia 
la stanca anima mia, dove se splende 
qualche raggio di gioia, è il melanconico 
addio d’un vecchio sole che s’arrende 
vinto, aH’inverno. Ma sospesa al tenue 
filo d’un sogno, un’ultima, appassita 
speranza, come quella foglia palpita 
e protesta se anch’io penso : — w /: finita / « — 


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È NEL MIO SOGNO... 


È nel mio sogno un prato tutto verde, 
solitario, tra due 

spalle di monte, e l’erba trema al soffio 
delFombra. 

Di là, nel sole, cantano, 

ma il canto va lontano e poi si perde. 
Più solitario resta 
e più silenzioso, 

nel mio sogno, quel prato tutto verde. 


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RISVEGLIO. 


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RISVEGLIO. 


Come sotto la neve 

dove Terbe, sognando il del di maggio, 

dormono un sonno greve, 

talor penetra un raggio 

fervido come il bacio 

d’innamorata bocca 

e, tosto giunto, il ramoscel cui tocca 

giovanilmente avvivasi; 

— Aganook. 


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98 


Risveglio 


cosi dal mio riposo 

la tua calda parola ecco mi desta, 

e dal tedio gravoso 

anch’io levo la testa 

come la pianticella 

già costretta dal gelo 

che mette foglia c leva il moUe stelo 

sul pesante sudario. 


Ma se tenace orgoglio 

spiega l’inverno e nevi altre distende, 

quel novello germoglio 

l’ultima sera attende; 

lo serbava il letargo, 

ma la ridesta vita, 

novamente ferita, 

dovrà per sempre cedere. 


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Risveglio 


9 ^ 


Tal forse avrò destino, 

e se dopo il virai raggio cortese 

torni scuro il cammino 

e tornino le offese 

del nembo, e la suprema 

fede mi sia ritolta, 

il capo piegherò Tultima volta 

neirultima battaglia. 


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NOI VOGLIAMO... » 


Noi vogliamo cantar liberi al sole 
come il gricciolo e come il capinero. 
Se il core piange piangan le parole, 
ridano i canti se ride il pensiero. 

Ora il fiorito or Tarido sentiero 
eleggerem secondo il sogno vuole: 
oggi Tortica e il cardo battagliero, 
doman... corremo a monti le viole. 

Ai fi'eschi di natura aliti sani 
ridea, libera e forte, aprirà Tali 
svegliando un vivo fremito giocondo. 
Eco d’ignoti, augurio di lontani, 
non di sùbiti eroi nè immortali^ 
ma di fratelli nomadi pel mondo. 


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VESPERO D’APRILE. 


Vanno per l’aria in un clamor di gioia 

le rondini. Che dolce orai II volume, 

che attende aperto sui ginocchi, ha un brivido 

come d’ebbreaza, e volgonsi da sole 

le pagine viventi 

quasi con ritmi lenti 

di sommesse parole. 


Ascolto e intendo. Da che lunghi giorni, 
o brezza, io t’aspettavo! ora tu giungi 
come un tempo, recando i freschi odori, 
gli audaci inviti, e gl’inni e il riso eterno 


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102 


Risveglio 


« 


d’aprile ; ma che giova 

quest’allegrezza nova 

se nel core ho l’inverno I — 


La Brezza. 


— « Ignoro chi tu sii; le andate ignoro 
gioie che piangi. Se carezzo e bacio 
non io farlo vorrei, nè indago i sogni 
di voi mortali. Come voi costretta 
ad obbedir l’ignoto, 
canto e passo nel vuoto 
avida di vendetta. » — 


O triste brezza! passa pur ma taci, 
taci il segreto e all’anima consenti 
il sogno. Troppo ci ammaestra il vero 
col suo sottile roditor veleno! 


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Vespero d’aprile 


103 


dolce all’oppressa mente 
pensarti un’innocente 
figlia del ciel sereno. 


La Brezza. 


— « Blandire, sugger le fragranze, e l’ali 
delle farfalle sostener, m’è grave 
tedio; più grave il non veder compresa 
la mia pena. Si sveli oggi il mio duro 
fato, e nessuno ignori 
che se m’amano i fiori 
non li amo io nè li curo. 


Vorrei... Vorrei, libera e forte, il volo 
possedere del vento, e l’alte chiome 
squassar dei cerri e svellere le immani 
querci, e dell’alpi inabissar le intente 


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104 


Risveglio 


fronti superbe; anch’io 
esser demone o Dio, 
conscia, grande, volente! » — 


Il Vento. 


— « Chi m’invidia laggiù? stanco, le selve 
corro pur sempre e gl’imprecanti mari, 
per quel voler che, ignoto, mi s’impone ; 
cader mi veggo le valanghe innanti, 
ville ingoiar le frane, 
seppellir carovane 
le sabbie turbinanti. 


c non vai che mi colga una profonda 
pietà; m’incalza con crudel furore 
sempre il destino e la rovina, ovunque 
movo, mi segue. Quale spirto ignavo 


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Vespero d*aprile 


105 


invidia la mia sorte? 

Non son io, perchè forte, 
più misero e più schiavo? » — 


Manda il tramonto un ultimo bagliore 

come d’incendio e tutto poi si vela 

e posa. Io chiudo il mio volume, e guardo 

lassù, la volta mistica, la bella 

sfinge azzurra, ove mite 

alle querele ardite, 

ride la prima stella. 


14 — Aganoor. 


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RINUNCIA. 


Alla sua porta giunse un cavaliere 
e disse: — « Le tue guance hanno il colore 
dei ceri; hai l’occhio spento; 
e fra le attorte ciocche del tuo nero 
crine lampeggia qualche fil d’argento. 

Che attendi ormai? Senti che scoccan l’ore? 


Senti?... Son l’ore estreme dell’estrema 
tua giovanezza; un ultimo bagliore 
di vespero, e dirotte 
pioveran l’ombre; l’anima non trema 
dinanzi al dubbio dell’eterna notte?... 
T’offro l’ultimo sogno; io son l’Amore! 


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Rinuncia 


107 


Scendi, fuggi con me che son l’Amore. 
Tutta la gioia e tutta la bellezza 
del mondo, finalmente, 
conoscerai. Non senti? scoccan Tore 
e forse la promessa ultima mente 
e morte la speranza ultima spezza. » — 


Ella rispose : — « Io son qui sola, o Amore, 

con la mia vecchia madre. Il Paradiso 

nè spero nè Tlnferno 

temo, ma di lasciarla io non ho core, 

io, caldo raggio del suo freddo inverno, 

io, cui prima nel mondo ella ha sorriso. » — 


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ACCANTO AL FOCO. 


— « Una fiaba, una nova 
fiaba, finché l’inferno 

si scatena ! Non senti 
che turbini e che piova? 

Narra ! vogliam sommergere nei sogni 
il pensiero e scordar che vien Fin verno. 

— « Narra! e la fiaba sia 
lieta. Vieni! il camino 
splende! » — 

— O fratello, è triste 
oggi Tanima mia 

e non ha sogni. Io ti dirò la vera 
storia (se pur vorrai) d’un pellegrino. 


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Accanto al foco 


109 


— Giù nella spaccatura 

d’un gran monte è un sentiero ; 

per quel sentiero ei va. 

Son le inaccesse mura 
di basalto, ed il sol raro balestra 
un lampo, giù per quell’abisso nero. 


Va, va, sperando un’erta 

improvvisa, assetato 

d’un vasto arco di cielo, 

della gran luce aperta, 

e ad ogni seno, ad ogni piega, ad ogni 

serpere dell’orribile burrato. 


la speranza si affranca 

di guadagnar le vette 

d’oro, per una chiara 

via libera, una bianca 

strada immersa nel sole, e attinger l’ebbro 

appagamento che il desio promette. 


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no 


Risveglio 


Egli cosi procede 
in queireterna sera; 
e il baratro si attorce 
assentendo alla fede 
in un vicino balenar di terre 
ridenti, ai raggi della primavera. 


Là, in fondo alla divisa 

rupe, un barlume appare; 

là certo un’ampia scena 

si schiuderà improvvisa 

con l’infinito delle lontananze, 

forse col mugghio e la magia del mare. 


No; non ancor... Ma certo 
là, dietro a quello sprone, 
proromperà magnifica 
la gloria dell’aperto. 

Laggiù, laggiù... — Ma quivi una più tetra 
rupe suggella la fatai prigione... 


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Accanto al foco 


111 


O mio fratello, il nome 
chiedi del pellegrino? 

Ei ben sapea che a mille, 
prima di lui, siccome 
rincorsi cervi, giunsero anelando 
alla sbarra del tragico cammino. 

Pur, temerario, ei volle 

sperar, sognar, che in fondo 

quelle rocce cadrebbero 

compiendosi il suo folle 

voto, il voto di lui, l’unico, il novo 

Siva, l’eletto a conquistare il mondo. 

E s’aflfrettò, dai sogni 
sospinto, a quel suggello 
formidabile, intento 
ad ogni svolta, ad ogni 
barlume, stolto e immemore ! 

— « Ma il nome, 

Il suo nome? » — 

— Son io; sei tu, fratello! — 


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MADRIGALE. 


A M. M. 


Non senti, non senti TAprile 
che viene? Non odi il galoppo 
dell’agile scorta? Non vedi 
le azzurre gualdrappe ai ginnetti, 
di candide piume i cimieri 
e d’oro corruschi gli elmetti 
sul capo dei bei cavalieri? 


Non vedi che a tutti, superbo, 

innanzi egli viene, e par dire 

col riso di gloria : — « Io son primo 


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Madrigale 


io sono rinvino? » — Un clamore 
d’osanna è nell’aria; le genti 
si prostrano liete al signore 
dei bei cavalieri vincenti. 


Tu sola non flettere! Ei giunga 

a te, bianca e bionda tra i fiori, 

sfidante! Vedrai che di sella 

precipita; e fisso negli occhi 

tuoi, laghi di luce azzurrina, 

umile piegando i ginocchi 

dirà : — « Sono vinto, o regina ! » — 


15 — Aganoor. 


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SOTTO IL CIEL... 


Sotto il del, che d’un vago 
pallor tinge la sera, 
cinto dalla brughiera 
dorme tra Taighe il lago; 
e sul lido, leggiera, 
sottile come un ago, 

— nido forse d’un mago — 
s’alza una guglia nera. 

Vieni! il paese arcano 
dei sogni è questo : Vieni ! 
Laggiù l’ignoto invita. 
Andiam, stretti per mano, 
ai vesperi sereni 
per la landa infinita. 


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5 MARZO 1896. 


Uria voce, che certo, 
rotta da le procelle, 
non attinse le stelle, 
clamava nel deserto: 


— O Signor, dalle pure 
immensità, consola 
noi d’una tua parola; 
sana in noi, creature 


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Risveglio 


116 


tue, neH’error cadute 
la follia che ci tiene, 
e converti le pene 
in gioia di salute! 


Disperdi le malvage 
nubi della tempesta; 
laggiù muoiono, arresta, 
Signor, l’orrenda strage! 


Già troppi quéi sanguigni 
cieli videro volti 
bianchi e corpi travolti 
(ÌqWA mbe tra i macigni! 


Già troppi gli avvoltoi 
famelici e gli astori 
divorarono cuori, 
rossi cuori d’eroi. 


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) Mar^o iSi)6 


I17 


Stendi, o Signor, la mano 
che placa, sulle accese 
ire, sulle contese 
di questo gregge umano ; 


tuona che tutto è invano, 
tutto invano : i più lati 
dominii, i soggiogati 
eserciti, il sovrano 


trionfo; apri all’errore 
gli occhi che iniquo serra 
e intenda che la terra 
ò assetata d’amore! — 


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LA STREGA. 


Fuor dalla selva, dove a spalto il monte 

s’allarga, in un miserrimo abituro, 

che l’edera pietosa abbraccia e veste, 

vive una donna, una povera vecchia 

che i boscaioli chiamano la Strega, 

tanto ha strano lo sguardo e tanto è scarna 

e pallida la sua faccia di spettro. 

Pur, questa miseranda ombra di vita 
ebbe un corpo di ninfa e un fresco e puro 
volto ; color del mare al sol d’estate 
gli occhi, e una gloria di capelli d’oro. 

Qual nembo di sventura o di peccato 


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La Strega 


119 


ravvolse? Perchè mai da tanti e tanti 
anni vive là, sola, il di, la notte, 
col suo grande segreto e le chimere 
che a lei suscita intorno la follia ? 

Son tante e tante le bizzarre istorie 
che narrano di lei! Rimane assorta 
(dicono) senza proferir parola 
per lunghi giorni e lunghe settimane; 
poi d’improvviso, vòlta all’assopita 
foresta — che par sogni, alta nel cielo — 
ritta nel vespro come una sibilla, 
le bianche ciocche libere nel vento, 
parla per ore all’erbe, ai vecchi abeti, 
alla Luna^che ascende da la valle, 
alle nubi, alle lucciole, siccome 
a vecchi amici. Narra degli andati 
giorni, — i giorni giocondi e fuggitivi 
dell’infanzia; — o ammonir di giovanette 
una schiera invisibile si finge. 

Una sera, non vista, io venni presso 
quella capanna, e sovra un sasso, dietro 
una quercia, alla luce de le stelle, 


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120 


Risveglio 


me ne stetti per ore, affascinata 
da quella voce, che da prima un cheto 
sommesso mormorio mi parve, e crebbe 
più viva e concitata, a mano mano 
che tornava il pensier sulle affannate 
vie del dolore antico. Io tutto, o quasi 
ritenni ; ella dicea : 

— Fanciulle, udite 
la parola che salva, e uccide i folli 
sogni che costan lagrime... Perchè 
fidate voi nell’uomo, e poi piangete, 
piangete.^ Ecco, io vi dico la parola 
ch’io stessa udii per un prodigio... È forse 
un secolo?... chi sa? chi si rammenta 
quando fu?... Me la dissero una chiara; 
notte le stelle — e tutto l’universo 
ascoltava con me (per questo i fiori 
son tutti morti), — dissero! Egli mente! 
Egli mente! — Era vero... È vero; l’uomo 
mente e mentir non crede; a lui non basta 
— rammentate! — una sola anima schiava; 
e i sospiri, i sorrisi, i supplicanti 


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La Strega 


I 2 I 


Sguardi mentono; i patti, i giuramenti 

mentono... Lento... come un serpe, viene 

il dubbio, e vien l’accusa, e van lontane 

le anime... Cosi m’avvenne... Quando 

fu?... Non rammento, ma so ben che un giorno 

si scolorò quel volto per un’ombra, 

e parver ebbre quelle sue pupille 

e vidi le sue mani, arse di febbre, 

fremere di geloso impeto... Io vidi 

certo questo... Ma vinsi ; io vinsi l’ira 

di quel superbo, ed egli pianse, e — Aitine — 

io dissi — ha pianto, ha per me pianto; è dunque 

per la vita, oh dolcezza!, è per la vita! — 

io dissi questo. 

Bimbe! ha mai baciato 
la vostra mano? Impallidiste ai primi 
baci, leggieri, timidi, che appena 
sfiorarono le vostre dita?... Come 
tremavano le dita!... Oh voi non colga 
l’ebbrezza degli arditi ed improvvisi 
baci di labbra ingorde e deliranti 
quando il desio trabocca !. 

i6 — At;ANooR. 


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I 22 


Risveglio 


Era d’autunno? 

era d’Aprile?... Io non ricordo... Il mondo 
certo fioriva in cosi gran vigore 
che le rose attingevano le stelle... 

Forse con lui nelle tranquille sere 
del maggio a camminar foste sui prati? 

O d’autunno con lui per una bionda 
selva ? O udiste in un vespero d’Aprile 
sonar l’Ave, con lui ? . 

L’aria portava 

ostinata una ciocca dei capelli 
vostri sulla sua bocca. Era leggera 

come una piuma quella ciocca. 

Andare 

non vi parve in un sogno, in quella pace 
dei sensi?... Non s’udi parola; e il patto 
fu chiuso. 

Tutto questo, un maledetto 
giorno (e sarà quel giorno tutta nera 
l’aria, e immobile, in gran silenzio, e i cuori 
agonizzanti), tutto questo un giorno 
diverrà fumo e vana ombra all’audace 


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La Strega 




riso d’un’altra bocca, al blanditorc 

suono d’un’altra voce, al muto invito 

d’un altro sguardo; c il vostro occhio fedele 

pregherà indarno, e la parola accesa 

di tenerezza, e i sogni, i patti, il pianto, 

le carezze, i ricordi, inabissato 

tutto e travolto sarà in fango!... in fango!... 

Chi piange dietro quella quercia.^ È stolto 
piangere; è stolto! Io non piansi! Io non piango! 


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GLORIA. 


A /. R. G. 


Lei soltanto invocò, per lei s’impose 
dure vigilie, a lei rivolse il canto 
dall’ali audaci, effuso dall’ardito 
spirito; e finalmente venne, e tanto 
raggiavano le ciglia portentose, 
le immense ciglia piene d’infinito, 


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Gloria 


125 


che i colli intorno e le sopite lande 
risero come al lume d’un’aurora. 

Non sorrise il poeta, e con altero 
gesto scostando le febee ghirlande 
che a lui porgea la radiosa: — Il vero 
sei tu? (disse) il mio sogno era più grande. 


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DOMANI. 


Vivo, respiro, palpito; si libra 

baldo il pensiero in alte estasi immerso; 

la salute mi pulsa in ogni fibra 

c del mio core in ogni acceso fremito 

fremere sento il cor deiruniverso. 


Domani... un soffio di rovaio; un vampo 
d’estivo sole; un piccioletto morso 
d’angue; il vapor d’un paludoso campo, 
mi prostrerà, questo di vive, libere 
forze, arrestando portentoso corso. 


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Domani 


127 


Pallida, muta, intorno al letto mio 
udrò bisbigliar preci, udrò singhiozzi 
spegnersi lontanando in mormorio 
di lamenti ; vorrò, ma invano, sorgere, 
stender le braccia e dire almeno — Addio! — 


Ma innanzi a queste mie pupille, assorte 
oggi in fantasmi di superbi amori, 
piene di sogni e piene di splendori, 
cadrà il nero sipario della morte. 


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FEBBRH. 


Ecco la porta si spalanca ed entra 
mio padre coi bei doni. A stento ei tutti 
li regge (oh quanti!) e ride... Io dal mio letto 
tendo le braccia, e la gioia è nel sole 
che allaga la mia camera; è nel suono 
delle campane dindondanti a festa, 
nell’allegro vocio che di fuor s’ode... 

— È nato ! è nato ! — esclamano le genti 
e per le vie s’abbracciano. 

La febbre 

questi sogni mi dà? sia benedetta! 


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Febbre 


129 


Vero ; è Natale, ma mio padre immoto 
dorme laggiù presso la villa immersa 
tra gli abeti. È Natale... oh ma i fratelli 
non s’abbraccian per via!... 

Donami ancora 

un altro sogno, amica febbre! io veda 
svanir come ombra, al divampar d’un grande 
foco d’amore, l’indigenza, e il mondo 
finalmente placato in una fede 
sicura e forte come l’universo, 
in ogni terra, e per ognuno, il sasso 
delle tombe non sia più che la porta 
dell’infinito. 

A quella soglia io forse 
m’approssimo?... chi sa? Forse il mio sogno 
s’avvera, e lieto il padre mio dischiude 
il valico per me, recando il vivo 
dono di luce?... 

Dagli oscuri abissi 

della vita, assorgiamo anima! albeggia 
l’erta, che attinge il vertice del vero. 


17 — Aganoor. 


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PEL MONUMENTO A G. ZANELLA 


Inni si levano, 
piovono fiori, 
bandiere passano 
con Pala al vento. 

L’effigie tua dal bianco monumento 
severa guarda. 


Di quanto perfido 
veleno, un giorno 
t’abbeverarono 
codardi cuori!... 

Oggi mani plaudenti, incensi, allori, 
oggi l’osanna! 


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Pfl motmmenlo a 0. Zanella 


MI 


Voi più non turbano, 
o morti, Tire 
terrene, e il plauso 
più non v’accende; 
ina certo ancora una pietà vi prende 
guardando a noi; 


a noi che in tenebre 
smarriti, gli occhi 
tendiamo e l’avida 
tremante mano 

a voi, da voi sempre aspettando invano 
un cenno, un raggio. 


Ecco, io non cantici 
levo alla festa 
non fiori e lauri 
reco o bandiera; 

strette le mani in atto di preghiera 
guardo ncU’alto 


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132 


Risvf^iio 


e dico : o liberi 
fratelli, o morti 
fratelli, i miseri 
viventi han sete 

d’una parola; voi, non la direte 
quella parola? 


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REVERSIBILITÀ. 


(da Baudelaire) 


Angiolo pien di gioia, 
conosci tu Tangoscia, 
la vergogna, il rimorso, 
le lagrime, la noia, 
e il terror che ci prende 
in certe notti orrende 
quando il cor, come un foglio 
gualcito in pugno, scroscia? 
Angiolo pien di gioia, 
conosci tu Tangoscia ? 


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Angiol di bontà pieno, 
conosci l’odio? i pugni 
stretti neU’ombra, e il piangere 
lagrime di veleno, 
quando la maledetta 
voce della vendetta 
— triste duce deH’aninia — 
a comandarle sorse? 

Angiol di bontà pieno, 
l’odio conosci forse? 


Angiolo di salute, 
conosci tu le febbri 
che dell’ospizio lungo 
le muraglie, sparute 
com’esuli, sen vanno 
lente pel grave affanno 
cercando il sole e tremule 
le labbra a guisa d’ebbri? 
Angiolo di salute, 
conosci tu le febbri ? 


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Rei'ersibilità 


*35 


Angiolo di bellezza, 
conosci tu le rughe ? 
lo spavento degli anni, 
e il legger la gravezza 
dei sagrifici amari 
per entro ad occhi cari 
fatti a schivarci esperti 
con sapienti fughe? 
Angiolo di bellezza, 
conosci tu le rughe? 


O angiolo beato 
di salute e di luce, 
David morente avrebbe 
dal tuo corpo implorato 
un vitale ristoro. 

Io da te non imploro 
che delle tue preghiere 
la soave dolcezza, 
angiolo di salute, 
angiolo di bellezza. 


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LA COMETA DI THMPEL. 


O scapigliata erinni, che incontro pei campi stellati 
ci vieni, l’infocata chioma protesa ai venti; 


sai tu, stolta, sai forse qual mondo minacci, qual grande 
miracolo, qual patria di giganti? per secoli 


e secoli, il pensiero piegando all’assidua fatica 
della ricerca, avremmo portentose parole 


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La comtta di Tempel 


137 


Strappate al vero invano? e invano sospinto fin oltre 
le tenebre terrene lo avremmo, incontro ai lampi 


della mèta superba, cui Tanima nostra indovina — 
(l’anima irrequieta, Tanima impaziente) — 


ria che assorga?... T’è angusta carriera lo spazio infinito 
che la via nostra, o cieca gorgone, ci attraversi ? — 


Ridono alla querela dei piccoli umani nell’alto 
di un gran riso di luce le legioni dei mondi; 


ride la rossa erinni che scote la chioma, e procede 
incontro a uno scuro atomo che divampa e scompare. 


18 — Aganoor. 


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BIASIMO. 


AUor che sdegna investigar de’ casi 
le cagioni segrete 
nè Talma altrui comprende, 
biasima e ride il mondo; 
menestrello giocondo 
che spensierato applaude o vilipende. 


Di lui chi si lamenta ? A lui chi chiede 

giustizia? Oh ma nel core 

ben più acerbo discende 

da labbro amico e caro 

anche un sogghigno amaro 

quando giusta cagion non lo dirende. 


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ORE TRISTI. 


Sotto la pioggia, incontro al vento, passa 

una bara; la portano 

in fretta al camposanto, 

e la buffa ogni tanto 

il nero drappo irreverente squassa 

con derisorio sibilo. 

Ritti sul fango nero 
lungo le vie fuggenti 
croci i fanali sembrano, 
le case monumenti 
d’un lungo cimitero. 


Chi si ricorda più l’aprile, i prati 
verdi, e l’azzurro, e i mandorli 
rosei per la campagna? 


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140 


Risveglio 


giù la pioggia si lagna, 

in alto è un mar di nuvoli serrati 

e qui dentro una lugubre 

calma, é qui tutto tace 

come in vòta dimora; 

non risa, o canto, o fremito 

di scossa onda sonora; 

è dei chiostri la pace. 


Pace d’anime stanche e di languenti 

tìbre, domate al fervido 

martellar dell’affanno, 

che più lottar non sanno 

ma sdegnano i lamenti; 

pace d’antico tumulo 

abbandonato e infranto 

su cui l’ortica crebbe ; 

desolato silenzio 

cui men triste sarebbe 

uno scoppio di pianto. 


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VINTO. 


Egli ha già chiuso ogni spiraglio, acceso 
il braciere, e lo spia con ciglia intente 
di sonnambulo; affretta egli Tatteso 
sonno, Toblio, la pace finalmente!... 


Chi parla?... Una sua nota solitaria 
là dalla gabbia espresse il cardellino 
obliato; di luce avido e d’aria 
sogna forse il pian verde e il del turchino. 


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142 


Risveglio 


Leva gli occhi ed ascolta, il morituro ; 
poi barcollante e con la man già fiacca 
tentando Tombre del cammino oscuro 
la gabbia, là, dalla parete stacca. 


Lento apre Tuscio... Entra la luce bianca 
un’altra volta, e un’altra ultima volta 
la creatura della vita stanca, 
ebbra, le voci della vita ascolta... 


Poi torna il buio... — Ad altri il vago aspetto 
del mondo! Ad altri, a più gagliarde tempre 
l’amore! il forte, il dolce, il maledetto 
amore! Ah taccia il palpito, per sempre! — 


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INFERMA. 


Eccola finalmente 
la sera! Io dal mio letto 
guardo con le pupille sonnolente 
un fil di luna, che traverso i vetri 
viene della malata solitaria 
la buia stanza a popolar di spettri. 


Viene, va, la veloce 

schiera dell’ombre, e tutte 

hanno forme diverse, hanno una voce 

diversa, e sveglia nel passar ciascuna 

ombra un pensiero, un sogno, una memoria, 

poi sfuma cheta al lume della Luna. 


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144 


Risveglio 


Parlano, o nelle mani 
bianche stringono bianche 
carte. Io leggo i caratteri lontani 
senza schiuder le ciglia. È Tinfinita 
schiera delle parole udite o lette 
palpitando, nel sogno o nella vita. 


Parole come impresse 

sul foglio con un ferro 

rovente; cosi a noi parve, e che ardesse 

quel foglio; e alzammo gli occhi e in ogni parte 

li volgemmo, a veder se ancora i nostri 

compagni: i libri, i mobili, le carte 


dinanzi, intorno, accosto 
a noi, fossero sempre 
impassibili, là, ciascuno al posto 
di prima, folla indifferente e ignava, 
mentre la nostra ultima fede in una 
oscura immensità precipitava. 


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Inferma 


145 


Parole dall’accento 
portentoso; parole 

che come una gagliarda ala di vento 
strapparon via le nebbie ad una nera 
giornata di dicembre e ai campi, e ai prati 
fulse improvviso il sol di primavera. 


Parole di preghiera, 

di tenerezza, un giorno 

non curate, e la cui voce sincera, 

da un vecchio foglio emersa, ora soltanto 

ci asseta d’un amor senza ritorno 

e ci gonfia i pentiti occhi di pianto! 


Parole di comando, 
di tuono, che i dispersi 
soldati, vinti dal terrore, quando 
la speranza è perduta, e dallo spalto 
nemico infuria il foco, arresta nella 
fuga, e rimena docili airassalto. 

19 — Aganoor. 


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146 


Risveglio 


Parole delPaccusa; 
sottili, avvelenate 

come pugnali, che il pensier ricusa 
d’intendere, che il core sbigottito 
non frena, e fra due strette anime innalzano, 
rapidamente, un muro di granito. 


Parole dei morenti; 
rotti, misteriosi 

da bianche labbra balbettati accenti, 
dove già parla come il sogno immenso 
d’un’altra vita, e noi lascian pensosi, 
tìnchè viviam, del loro occulto senso! 


'Putte, tutte io le sento 

venir, fuggir veloci, 

leggiere, e nel mio capo, sonnolento 

di febbre, sveglia nel passar, ciascuna 

ombra, un pensiero, un sogno, una memoria; 

poi sfuma cheta al lume della Luna. 


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NATALE. 1894! 


« Gloria nei cieli e pace 
agli uomini I » — oh non sia 
la promessa, fallace! 
ah s’apra questa via 


angusta, ove una face 
non brilla, ove s’obblia 
la mèta, in un tenace 
miraggio di follia! 


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Risveglio 


148 


Noi soffochiamo; il lezzo 
sale; si gonfia il core 
di sdegno e di ribrezzo... 


Non lasciarci, o Signore, 
a questo fango in mezzo, 
o la speranza muore ! 


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« SOTTO LA MIA FINESTRA. » 


Sotto la mia finestra 

al mite sol d’Aprile spalancata 

rompe d’un tratto un suono di chitarra, 

una gaia strappata, 

preludio a una gioconda frenesia 

di note, quasi un urlo d’allegria, 

uno scoppio di balda giovanezza 

riboccante d’ardore 

e d’impeti d’amore 

e di gioia, e di forza, e di follia. 


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Risveglio 


150 


Dalla mia scrivania 

io levo gli occhi un po’ stanchi e la testa 
grave... Oh, fa bene un palpito di vita 
gagliarda! Un po’ di festa 
spensierata! Oh felice o tu che vai 
certo a trovar la bella fidanzata 
che sulla soglia, nella blanda sera 
ti attende, inebriandosi all’odore 
che porta il vento della primavera; 


e la pupilla nera 

splende al giunger del suono, e il piede batte 
al ritmo della musica gioconda, 
e sovra il collo d’un candor di latte 
come piume leggere aU’aria tremano 
le fini ciocche della chioma bionda. 

M’affaccio alla finestra... Il sonatore 
è sempre là, col mento all’aria; ha seco 
un cane; un can che con pietoso amore 
lo guarda... Il baldo chitarrista è cieco! 


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I CAVALLI DI SAN MARCO. 


Bianca, deserta stendesi 
la gran piazza al sopor meridiano; 
va d’un cantor girovago 
Tultima nota a perdersi lontano. 


Di San Marco le cupole 
meravigliose avvolge un nimbo d’oro, 
ma nelle nicchie fulgide 
par che i santi sbadiglino tra loro. 


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152 


Risveglio 


Son tanti anni che dormono 
i forti eroi distesi nella fossa! 
Tanti anni che sparirono 
i cavalieri dalla toga rossa! 


Di Barbarossa il fremito, 
che a San Marco portò d’Illiria il vento, 
son più di sette secoli 
che dentro Tonda paludosa è spento. 


Non più giocondi ondeggiano, 
d’un tratto sciolti a sgominar la notte, 
sulTalta torre i vigili 
bronzi, saluto alle tornanti flotte; 


e invan quei santi attendono 
che un suono, cui li aveva il tempo avvezzi, 
che un urlo di vittoria 
di quel tedio infinito il gelo spezzi... 


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1 cavalli di San Marco 


153 


La gloria fu; ma un torpido 
sonno San Marco e il suo popolo ha vinto ; 
ma sovra gli archi fremere 
s’odon ora i cavalli di Corinto, 


i cavalli che al fervido 
sol della Grecia, nel clamor guerriero, 
baldi passar vedeano 
i rapsodi cantando inni d’Omero, 


passar d'Epiro i giovani 
che Arato incontro alFoppressor traea, 
passar rombando i plaustri 
vittoriosi della Lega Achea. 


Auanour. 


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O immane ala dei secoli 
pulsar ti sento; e dagli umani inciampi 
teco sciolto lo spirito 
migra del tempo per gli aperti campi. 


Te vedo, o Roma, o torbida 
Roma, quareri. Il perfido dimone 
della follia destavasi 
torvo allora negli occhi di Nerone, 


c il forsennato Cesare 

s’udia ruggir: — Ciò che non piega, infrango! 

K la palmata clamide 

ebbro vedeasi trascinar nel fango. 


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I cavalli di San Marco 


ns 


Invan Claudio di porpora 
rivesti le corrose assi del soglio! 

Le forti romane aquile 

stridon ferite appiè del Campidoglio, 


e in pugno alto la fiaccola 
tra gli arsi templi e i portici crollanti, 
te vedran cupo assorgere 
i nipoti pigmei d’avi giganti. 


* 


Io penso, io penso... Or passano 
bianchi veli e lucenti occhi d’almee, 
sui vespri d’oro assorgono 
nitidi i minareti e le moschee... 


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156 


Risveglio 


Pur, cosi allora, o vecchia 
Tracia, il tuo ciel non ti vedea; la mano 
ne’ templi tuoi sacrilega 
posto ancor non aveva il musulmano. 


Nè sui delubri l’aurea 
mezzaluna in quei di; ma grande e tristo 
di libertà segnacolo, 
la terribil s’ergea croce di Cristo... 


Io vedo, io vedo... Incurvasi 
il mar tra verdi rive; ecco il giocondo 
sorriso aprir Bisanzio 
a un esulante vincitor del mondo. 


Giovanilmente destasi 
la ribelle d’un tempo or lieta e doma, 
e vince nel magnifico 
suo novo maggio la superba Roma... 


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1 cavalli di San Marco 


M 7 


E tu passi, o de’ secoli 
ala immane, e paesi e imperii morti 
spazzi, a novelli popoli 
maturando nel volo ampio le sorti!... 


* 


Son giunte! eccole al Bosforo 
le gloriose! di novello alloro 
cinte, alle antenne attorconsi 
le rosse insegne dai rabeschi d’oro; 


le insegne che s’aprirono 
sulla terra e sul mar libero il varco, 
stemmate dell’aligero 
leon, levate al grido di: San Marco! 


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158 


Risveglio 


H: 


Quante vedeste, o bronzei 
corsier, dagli erti scali ampie lanciare 
gallute navi e rapide 
galee pugnaci nell’Adriaco mare? 


Quanta echeggiò nel tempio 
onda di preci; e al puro etere immenso 
quanti volaron cantici 
e nubi di fragrante arabo incenso? 


Quanti osanna scoppiarono 
del Bucintoro al sùbito raggiare, 
e quante nozze strinsero 
in cospetto del sol Venezia e il mare. 


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/ cavalli di San Marco 


159 


prima che voi, dal turbine 
dei fati, come lieve in aere penna, 
travolti foste e ai margini 
posati là della cruenta Senna? 


Anche laggiù, non tedio 
v’attendea di silenzi e sonni ignavi; 
sovra possente incudine 
là si battean delFavvenir le chiavi, 


là posto avea, con vindice 
braccio, l’arguta libertà di Francia 
il diritto dei popoli 
e quel dei re, dentr’unica bilancia. 


e ancor bello e terribile 
stringea laggiù repubblicano saio 
il Córso, e piovea folgori 
sul Direttorio al sole di Brumaio. 


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i6o 


Risveglio 


* 


Della vecchia basilica 
quando tornaste alle colonne, e quando 
de’ Dogi i figli alzarono 
memori a voi le ciglia lagrimando, 


ucciso in Campoformio 
tacea l’alto Senato, e uno straniero 
vessillo ergeasi lugubre 
in San Marco, dipinto a giallo e nero 

Ben le catene scotere 
volle, ruggì, di sangue i ferri tinse 
superbamente indomito 
il Leon, cui più forte il giogo avvinse 


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I cavalli di San Marco 


i 6 i 


e un di, coi gagliardi omeri 
levato il sasso dell’avel, rizzossi 
dinanzi al torvo austriaco 
lunga una schiera di fantasmi rossi; 


lo stuolo dei magnifici 
cui cantò il mare i funerali elogi, 
il grande, il forte, il libero, 
il glorioso esercito dei dogi. 


Di Marghera tuonarono 
quel giorno a festa i fervidi cannoni; 
rotti precipitarono 

giù dall’aste con Taquile i pennoni; 


scoppiò dai petti un unico 
evviva; sfavillò Tocchio dei forti; 
vibrar nell’aria limpida 
l’esultante s’intese inno dei morti. 

21 — Aganoor. 


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102 


Risveglio 




O d’adorati martiri 
inutile, ma santa opra! O possente 
d’eroi sospiro! Italia 
per voi più forte e più gentil si sente! 


Vano, vano d’un popolo 
alto valor! Voi li vedeste, o fieri 
cavalli, i nostri giovani 
far muraglia col petto agli stranieri: 


Voi lo vedeste il funebre 
mattin, ch’estenuate larve intorno 
a un vessillo si strinsero, 
voi lo vedeste il maledetto giorno, 


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1 cavalli di San Marco 


163 


il giorno che famelici 
spettri, che agonizzanti anime in nera 
gramaglia ricoprirono 
un’altra volta la rossa bandiera ; 


che le scarne mordendosi 
man, quegli eroi, dalla plebaglia folta 
degli alemanni videro 
la repubblica uccisa un’altra volta. 




O tuoni alti di giubilo, 
o voci di campane, o nel fulgore 
del meriggio svolgentesi 
alta nel vento insegna tricolore, 


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164 


Risveglio 


Per voi, per voi l’Adriaca 
donna schiuse le ciglia semispente, 
per voi si colorarono 
un istante le gote alla morente. 


Poi sul deserto e tacito 
suo verde flutto dall’algoso fondo 
ricadde inerme e lacera 
quella che un giorno s’ebbe ai piedi il mondo. 


— Tardi giungesti! — in lagrime 
sciamò il fratello baciando il fratello. 
— Non siete vivi? — chiesero 
severamente i morti di Torcello. 


— Vivi, ma stanchi e torpidi, 
lo spirito infiacchito, il corpo affranto; 
le vostre gagliarde anime 
voi non ci deste, o chiusi in camposanto! 


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1 cavalli di San Marco 


165 


— Per quasi un mezzo secolo 
fisso lo sguardo ad una meta eccelsa, 
per quasi un mezzo secolo 
abbiam vegliato colla man sulPelsa; 


— ed or... compiuto il libero 
voto d’Italia, e ricomposte l’ire, 
or... pace consentiteci, 
siamo vecchi... lasciateci morire. — 


Fremono i morti e fremono 
i bei cavalli di Corinto ardenti, 
sempre a protervi scalpiti 
pronti ed al corso i muscoli possenti ; 


fremono i morti... e al fremito 
dei loro morti, indifferenti o schivi, 
tenacemente dormono 
l’orrido sonno dell’ignavia i vivi. 


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ALBA. 


« Il popolo che giaceva in tenebre 
Ha veduta una gran luce » 

S. Matteo Gap. iv, i6. 


Un giorno tu dagli odorati poggi 
di Betania l’incredula fissavi 
Gerusalemme, e tutto intorno il vasto 
orizzonte splendea nei raggi obbliqui 
del tramonto; laggiù gli alti obelischi 
dai lampi d’oro, i portici fuggenti 
e i delubri di porfido, un superbo 
stuolo parean di taciti giganti 


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Alba 


167 


che sfidassero il cielo. I tardi onori 
resi coi marmi preziosi e Toro 
agli scherniti un di bianchi profeti 
sul tuo labbro di martire un sorriso 
suscitavano amaro, e il negro dramma 
deirinsano giudizio, e Tonte, e Taspra 
via del Golgota infame, e il lungo strazio 
tutto al tuo core onniveggente apparve. 
Che sospiri d’amore a te vernano, 
Tiberiade, dal divino petto 
del Nazareno! Che saluti ardenti 
all’azzurro tuo lago!... 

Ecco, alle rive 
s’accalcano le turbe; ecco, dall’onda 
giunge agli umili, ai miseri, agli oppressi 
la gran parola, e le convalli, e i monti 
e tutta quanta Galilea ne suona. 

Un inno immenso si levò dai cori 
senza speranza, una dolcezza nova 
allora entrò le solitarie case 
di chi spregiato e servo a ingiusti domini 
scordato avea di chiudere nel petto 


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i68 


Risvt'i^ho 


un’anima, divin tempio di Dio; 
allor l’abietta peccatrice, a cui 
ogni varco negavan di salvezza 
il fariseo,, lo scriba, e il sacerdote, 
finalmente potè sorger dal fango 
e riveder l’azzurro e aver speranza 
di perdono; non più curve le teste 
all’insana superbia; un novo regno, 
nova legge verrà che spinga i grandi 
ai piccini allacciarsi, e il mondo, in vasto 
tempio mutato di fratelli, un’alba 
vedrà di feste immaginate in cielo. 

E la legge del cor quella, il gran regno 
quello sarà della giustizia... 

Eccelsa, 

divina visione! oh, ma lontano 
è Magdalo, Gesù; lunge i tranquilli 
boschi di Galilea, gli ameni laghi 
che avevano echi robuste ai forti accenti 
del tuo labbro ispirato; innanzi hai l’onda 
bruna d’Asfalte, desolata imago 


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Alba 


169 


d’un’anima perduta e senza senso 
d’amore; innanzi hai la dorata tana 
delle giudaiche belve, sitibonde 
del sangue tuo... Pur cosi presso allora 
l’alba credevi, o Cristo! 

A noi che tanta 

dal tuo fulgido giorno età divide, 
a noi lontana ancor sembra la mèta 
che tu sognavi. Quanto sangue e quante 
dadi in tuo nome! che crudel vicenda 
di fugaci vittorie e di sconfitte 
immensurate ! 

Or tu dagli alti cieli 
(come dai colli un di Gerusalemme) 
guardi a questo ribelle ingrato mondo 
che, vivo, poco ti comprese, e spento, 
tosto risorto ti gridò, per farsi 
teco avaro di pianto... 


Un’altra schiera 

de’ tuoi veri seguaci oggi combatte 

22 — Aganoor. 


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ITO 


Risveglio 


con Tarme del pensiero; oh, ma la nebbia 
è folta intorno ai cori, oh, ma crudeli 
più d’allora, o Gesù, sono i tuoi figli, 
nè ancor si cessa d'inchiodar sul legno 
infame del disprezzo i pochi e forti 
soldati tuoi che van gridando al mondo: 

— Guai a voi che ai fratelli impor sul dorso 
non esitate enormi pesi, al pondo 
de' quali inorridite; a voi sventura 
che negate le preci e il tetto umile 
sottraete alle vedove! Insensati 
e ciechi; guai a voi che alzate cippi 
e monumenti ai grandi del pensiero, 
e dite: Oh noi macchiate non avremmo 
le nostre man nel loro sangue! e intanto 
sempre a chi s'alza con l'idea scagliate 
il vitupero e l'ignominia. — 

È presso 

l'alba, sorgete! — van gridando ancora 
gli apostoli di luce, e ancora un premio 
s’hanno di beffe, e ancor seguono e vanno 


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impavidi alla croce e sofFron tutta 
Tagonia del veder tanta crudele 
umanità che non comprende; e vanno 
gridando sempre e ancor: — Prossima è l’ora 
dei conculcati e degli oppressi; ha grazia 
chi prima si ravvede! — 

— E il mondo, cieco 
Epicureo, sorride, e sovra i drappi 
d’oro sdraiato, incredulo risponde, 
sbadigliando : 

— Quell’alba? oh, è lungi ancora! — 


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VARO 


(Corazzata Morosini). 


Nel gran silenzio deirattesa, intero 
sonò il comando, e un fremito di festa 
corse la folla; il fremito che desta 
ogni trionfo delFuman pensiero. 


E nel nome del grande condottiero, 
a quel comando obbediente e presta, 
sollevando di flutti alta tempesta 
scende la nave ed ha sulPonde impero. 


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Karo 


173 


Scoppian gli osanna; or poi quali oceàni 
(dir s’ode) fenderà? qual mai le arride 
portentosa vittoria ai di lontani? 

— Dal ferreo fianco quando il tuon che uccide 
sprigioni, quanti fian gli eccidi umani?... — 

... E ritto sulla prua Satana ride. 


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A MIO PADRE. 


Vivo nella memoria, o amato, sempre 
mi stai. Cercare ti rivedo, inchino 
sul cembalo, dei dolci anni tuoi primi 
le semplici canzoni, udite all’ombra 
delle palme, e nei bei vesperi d’oro; 
or le feste, le preci, il luminoso 
sogno non mai dimenticato, ie t’odo 
dell’infanzia narrar, fiorita al sole 
dell’Asia, là, tra i bianchi intercolonni 
della superba tua dimora, al vento 
del tuo selvaggio mar, dentro le intatte 
selve, o t’ascolto con solenni accenti 


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A mio padre 


ns 


parlar di Dio... Quanto t’ho amato, e quanto 
t’amo, e quanto t’invoco! 

Ora è deserto 

il porticato della villa, un tempo 
tuo passeggio gradito, allor che il lume 
del di morendo s’acchetava ogni opra 
ed intonava una campana VAve; 
tu allor scoprivi la tua testa bianca, 
quella tua testa bianca di profeta, 
e ti si udiva mormorar sommesso 
il saluto a Maria. Fermo, raccolto 
poi rimanevi per lunga ora, innanzi 
alla campagna addormentata, al vasto 
sipario d’ombre che stendea la sera, 
e guardavi lassù, lassù, perduto 
in queirimmensa pace, in quell’immensa 
innocenza del cielo... 

Ancora io credo 

d’esserti presso, e come un tempo ancora 
veramente vederlo, aperto e fisso 
quel tuo grande, ispirato occhio, a le stelle! 
o babbo mio ! 


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176 


Risveglio 


Poi con un gran sospiro 
ti scotevi d’un tratto e ritornavi 
accanto a noi tutto ridente in volto 
e tutto care celie, al modo istesso 
d’un, che il perdono guadagnar s’adopri 
di qualche errore. Oh come allora, e sempre 
di più t’amavo, e come il tuo gran core 
intendevo, o mio santo! Eri fuggito 
ben lontano da noi, da me, da tutte 
le umane cose; il gran mistero, il forte 
desiderio di Dio t’avean rapito 
lassù lassù ; scordato avevi il nostro 
piccolo mondo, il nostro gran legame 
umano. — Istanti! — e pur te ne sentivi 
rimorder quasi, e a noi tornavi, acceso 
di nova tenerezza e pronto a offrirci 
un compenso d’affetto e di carezze 
anche per quella breve ora d’obblio. 

Cosi scrollando dal pensier l’assidua 
brama del Cielo, eri divino, il bene 
de’tuoi, costante, anteponendo al grande 
tuo segreto sospiro, al sogno eterno 


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A mio padre 


177 


dello spirito tuo... 

Come infelice 

eri, se alcuno de’ tuoi cari, assorto, 
crucciato, o solo, ti paresse, e come 
ne richiedevi la cagion con dolce 
premura! Sempre le parole avevi 
pronte al conforto, e che ogni cosa muta, 
tu ripetevi, e che i nebbiosi giorni 
non duran sempre e dell’angoscia l’ore 
dan luogo alle gioconde; e con allegri 
motti, e bamboleggiando, ancora il riso 
t’adopravi a chiamar sul renitente 
labbro di chi soffria. Com’eri esperto 
a indovinar sovra quel volto il primo 
diradarsi deU’ombre, e come allora, 
solo allora, anche il tuo brillava in festa I 
Se ti venia di qualche atroce caso 
narrato, e fosse pur lunge ed ignoto 
a te, l’oppresso dalla sorte, e buono 
o triste fosse, acutamente, come 
d’un tuo dolore, d’un’angoscia tua 
n’eri commosso; e concitato, e tutto 

23 — Aganoor. 


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178 


Risveglio 


acceso in volto ripetendo andavi: 

meglio, o meglio Signor non esser nato, 

e tanti strazi, e tanti obbrobri, e tante 

viltà, Signore ignorerei ! — Pentito 

poi di quelle parole e con dimessa 

fronte, aggiungevi : — sia compiuto il vostro 

voler Signore! 

Io ti rivedo, io sento 
veracemente il concitato suono 
della tua voce, e dentro il cor tremante 
ancor la procellosa eco ne ascolto. 

Certo non fuvvi alcun che a te venuto 
domandando soccorso, insodisfatto 
partisse! e con che industre animo, il modo 
trovar sapevi di celar la santa 
opera tua! Ben chiaro era il comando 
divino pel tuo cor: — La destra ignori 
quel che dà Valtra! — e sollevato e pago 
come d’un ceppo alle tue membra sciolto, 
vedevi il poverel girne contento. 

Quando nel tempio tu pregavi, tutta 
Tanima tua mandava lampi e vive 


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A mio padre 


179 


scintille dai tuoi grandi occhi, bramosa 
di metter Tale, e rattenevi a stento 
la voce, quasi bisognando il labbro 
pregante, di cantar alto le lodi 
che dal cor t’erompevano. Rammento 
che dalla chiesa uscendo aU’aria, al sole, 
se talun la parola a te volgea, 
eri com’un che si risvegli in novo 
paese, e ancora non ben desto, invano 
fatichi a indovinar l’occulto senso 
di straniero linguaggio. Ora tu posi! 

Di pompe schivo, lunge dall’urbano 
fasto, in campestre cimitero, o buono, 
dormir volesti. Non opaca volta 
d’augusto mausoleo sul sasso incombe 
del tuo riposo nè gli vieta il dolce 
sguardo del cielo che lo veglia. Intorno 
ha vivi fiori; nell’aprile il vento 
su vi passa fragrante e pia vi cala 
la luna tra notturne ombre, a baciarlo; 
e gli astri, i sospirati astri, dei lunghi 
tuoi sguardi e delle lunghe estasi tue 


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i8o 


Risveglio 


memori, gli stan sopra e mandan lampi 
e messaggi divini incontro all’alta 
anima tua, che mai conscia e beata 
cosi non fu, sè palpitar sentendo, 
atomo vivo d’universo, in Dio. 


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O MORTI!... 


I passanti s’indugiano ai cancelli 
spiando delle verdi ombre i segreti; 
ma son l’ombre deserte, e i muschi e Terbe 
parassite che allignan sugli avelli 
veston la villa immersa tra gli abeti. 


Io, qui seduta sotto il porticato 

dove sovente al vespero veniva 

il padre mio, guardo, e mi credo un’ombra, 

l’ombra d’un lontanissimo passato 

che solo ha forma di persona viva. 


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i 82 


Risveglio 


S’affaccia della Luna il bianco viso 

tra pianta e pianta, ma la vaga scorta 

dei sogni, più non è con lei; somiglia 

un teschio adesso e con beffardo riso 

sembra dirmi: — «Non vedi? anch’io son morta! » — 


Ecco YAvCy la squilla Megli udia, 
lo stesso suono... e tornano dell’ore 
lontane le memorie: i giorni lieti, 
le dolci sere; un’intima agonia 
evocatrice che dilania il core. 


O morti, dite una parola, dite 
una parola!... Con l’orecchio io tendo 
tutta l’anima mia... Passa una nube 
c l’erba trema... Oh certo voi m’udite, 
mi parlate... e son io che non v’intendo. 


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L’EQUIVOCO. 


— Sorridi? io ti leggo nel core: 
tu vedi nel futuro 
la gioia. “ 

— T’inganni; io pensavo 
ad un mio vano amore 
antico. — 

— Sospiri? Io ti leggo 
nel core : quel ricordo 
attossica ogni tuo puro 
sogno. — 

— T’inganni! è scesa 
in me finalmente la pace. 


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Pensavo... che lo spirito 
allora soltanto riposa 
quando ogni sogno tace. — 

— Ma pur sospiravi!. — 

— O accanita 

ricercatrice! Il vano 
amor, le battaglie, le lagrime 
erano, ahimè! la vita; 
ma questo silenzio del core 
che ad ogni eco d’amore 
ha tutte sbarrate le porte, 
questo silenzio... è forse 
(poc’anzi pensavo) la morte? — 


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E non saperlo dir ciò che nell’intimo 
di quest’anima mia s’agita e freme 
senza mai posa! e non poterti esprimere 
febbre, mia gioia e mio tormento insieme! 


Non è amor, non è amore! un tempo, il giovane 
cor l’ha creduto e sciolse inni alla Morte; 
ora ben sa che dell’amor, quest’impeto 
è più fiero, più nobile, più forte. 

34 — Aganoor. 


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i86 


Risveglio 


Spesso nell’ora che s’accheta il fervido 
moto dell’opre e di lontano un canto 
vaga per la campagna al mite vespero, 
l’ignota forza m’ha strappato il pianto; 


dinanzi al mar che furioso ai turbini 
commetteva battaglia e l’alte antenne 
giungea mugghiante, quell’arcano palpito 
ebbra, immota, per lunghe ore mi tenne; 


e quando in cielo s’accendeva il fulmine 
tra le negre montagne, e lunge il tuono 
ruggir parea strane minacce agli uomini, 
mi volle assorta ad ascoltarne il suono; 


e avrei voluto come il nibbio spingermi 
lassù lassù, tra quelle forze in guerra, 
cercar, strappare il gran mistero e chiuderlo 
nei forti artigli a trarlo sulla terra; 


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? 


i87 


avrei voluto, come il nembo, un libero 
volo discior da quest’augusto sito, 
per un istante le vaste ali stendere 
sul picciol mondo e stringer l’infinito. 


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FANTASMI DI GRANDI. 


1 . 


Non dai gelidi marmi in cimitero 
chiusi al lume dell’albe e dei tramonti 
ma nell’aperta maestà dei monti, 
ma dell’oceano all’urlo battagliero. 


ecco gli spettri dalle ardite fronti 
cinte di sol, balenano al pensiero; 
ecco gli eroi, gli apostoli del vero, 
gli assetati di liberi orizzonti. 


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Fantasmi di grandi 


189 


O legione di santi e cavalieri 
come a pensarvi Tanimo s’accende, 
come il cor trema di superbo amore! 


Passano: a Omero, Achille in armi, splende; 
Michelangiol sorride airAlighieri ; 

Heine saluta il corso imperatore. 


II. 

Passano i grandi in una luce accolti, 
passa dei forti la vincente schiera, 
e smisurata su quei mille volti 
turbina al vento un’unica bandiera. 


La gran parola che beffar gli stolti, 
sul làbaro divin rifulge altera. 

Santo Ideal! Chi la tua voce ascolti 
più superba dolcezza indarno spera! 


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190 


Risveglio 


Passano i grandi e Tun dell’altro accanto, 
chè del tempo nel mar, di mille fiumi 
s’adegua il vario flutto e il color misto. 


Cosi stretti ad un solo ordine santo 
Passan flamini e re, gregarii e numi, 
e, sovra tutti sfolgorante. Cristo. 


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PEL MONUMENTO A SHELLEY. 


Anima libera, vedi? 
placato spirito, guardi? 
qui del tuo sogno gli eredi, 
i tuoi figliuoli gagliardi, 
inni levandoti in coro 
l’effigie tua ricingono d’alloro; 

(tu menti o voce che mormori : — « ^ tardi I » —) 


Alla divina pupilla 
del pensier libero e puro 
un novo adesso ti brilla 


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192 


Rùveglio 


sogno d’un novo futuro? 
e incontro ai trepidi umani 
oscuro sempre avanzerà il domani?... 

(tu menti, o voce, che rispondi : — « Oscuro I » —) 


Taccian, fratelli, le amare, 

le nostre vacue parole, 

tacciano innanzi alle chiare 

onde, parlanti nel sole, 

gl’inni degli uomini al bardo 

esule! Inno più degno e più gagliardo 

al redivivo sta ruggendo il mare. 


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PASQUA DI RESURREZIONE. 


Per poco rhai tu, o Morte, irrigidito 
sovra la croce! e in sindone ravvolto 
per poco dentro Parca di granito 
rhai, cittadin d’Arima tea, sepolto! 


Donne, piangete invan! pianga lo stolto 
gregge, che Tha di spine redimito. 
L’Emmanuele d’ogni ceppo è sciolto ; 
non s’imprigiona, o donne, l’infinito! 

— Aganoor. 


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194 


Risveglio 


Ecco, Egli torna, Egli vi parla: — « È data 
a me la potestà del mondo, e Torme 
segnerò tra i fedeli e tra i ribelli, 


sempre per la sequela interminata 

dei secoli, clamando in mille forme 

con mille voci: — Amatevi, o fratelli! — 


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MYSTICA. 


In un giorno lontano 
dentro la notte d’una cattedrale 
mi portarono a intridermi di sale 
la piccioletta bocca. 

Io torsi incollerita 

tutto increspando il porporino volto, 
e piansi tutto il pianto ormai raccolto 
in quei miei cinque o sei giorni di vita. 


Mei dissero; ma in me, nella memoria 
non mi si incise un segno, un’ombra, nulla!... 
Or, se alcun mi dicesse: — A te fu culla 


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196 


Risveglio 


miWanni fa la Grecia 
e fosti un de* suoi cento semidei; 
più tardi un paggio dell'ottavo Enrico^ 
poscia un poeta lacero e mendico; 
perchè mai — dite! — non lo crederei? 


Forse la buia chiesa 

rammento e quel disgusto allor provato? 
forse rammento il pianto disperato 
e il volto dell’orante sacerdote 
che alla grazia m’offriva? 

Pur m’hanno detto che guardavo intorno, 
m’han detto che tornata al chiaro giorno 
sorrisi; ero ben desta, ero ben viva! 


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DEBILITAS. 


D’un arboscello io so debole nato 
che ad ogni novo sospirar di vento 
si piega airaltro lato 
senza gioia o tormento. 

Sotto le nevi e alla stagion fiorùa 
noi move altro desio; 
cosi lo volle Iddio, 
cosi passa la vita. 


Non sa che sian le fiere 
resistenze dei forti e la vittoria, 
non sa che sia — volere, — 


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Risveglio 


Non conosce la gloria 

del morir combattendo, e gli odi acuti 

non sa, non sa i dolori 

che ignoti gladiatori 

sopportan muti. 


Vive, e forse di vivere non sente. 
D’ebbrezze ignaro e d’impeti d’amore 
stende le braccia lente 
senza mettere un fiore. 

Tale al soffio gentil che lo accarezza 
nella mite stagione, 
tale^al rude aquilone. 

Una palma lo guarda... e lo disprezza. 


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AGONIA. 


Qui nella stanza solitaria, ov’entra 
del bigio cielo tenebroso il poco 
lume, e la vasta dell’estremo autunno 
melanconia ; 


qui tutte le serene ore, le buone 
ore, che poco, ahimè! curai nei freddi 
bagliori assorta di bugiardi sogni; 

l’ore gioconde. 


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200 


Risveglio 


fantasmi inafferrabili di morte, 

ore, qui tutte s’adunaro, a farmi 

più acerbo e scuro questo scuro giorno 

fatto d’angoscia. 


— Ricordi? — una mi chiede — io venni prima 
coi ramoscelli di speranza, i dolci 
rami che pel tuo capo a me commise 

una pia sorte. 


Ti trovai rincorrente i vani fochi 
delle lucciole vane, e me degnando 
d’un breve sguardo, nel mister dell’ombre 

sparir ti vidi. — 


— Ricordi? — un’altra dice — io per te scesi 
le contrade del sol, recando i doni 
che la dea dai bendati occhi, fidati 

per te m’aveva; 


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Agonia 


201 


la pellegrina che alle tue dimore 
veniva d’Oriente, hai tu cortese 
accolta, o non piuttosto al triste occaso 

rocchio volgesti? — 


— Di’ : rammenti? rammenti? — in coro Tombre 
ripetono: — tu allor nulla curasti 
di noi, le luminose, e una malvagia 

follia ti spinse 


delle chimere tra le nebbie e i veli 
a te accennanti di lontano; i canti 
di quelle maliarde erravan lenti 

fra le scogliere. 


Non dove al sol danzavano gioconde 
fanciulle, dietro abbandonando il capo 
nell’ebrezza del riso, ai polsi strette 

dai forti amanti, 

26 — Aganoor. 


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202 


Risveglio 


ma sola andavi, o grande taciturna, 
sotto la Luna a cogliere nel vento 
di morte voci qualche eco perduta 

tra le ruine; 


e fuor dalle spezzate urne, e dai verdi 
talami di selvagge erbe e di muschi, 
ti sorgeano, legione avida, intorno 

le fantasie, 


le maghe che soltanto hanno soave 
il nome, ma per trista arte d’incanti 
fan torbidi gli umani occhi del vero 

alla bellezza ; 


ed or ci guardi lungamente e intenso 
il desiderio nel tuo sguardo accende 
un foco, onde traspar Tanima tua 

per gli occhi orante. 


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Agonia 


205 


per gli occhi stanchi ove da tempo il pianto 
più non arriva. È tardi, è tardi, e invano 
supplichevole, a noi tendi le braccia; 

noi siamo spettri, 


noi siamo larve; i teneri virgulti 
avvizzir; dalla sorte altro comando 
ormai pur troppo non abbiam che farti 

più triste l’ora. — 


O fantasmi, pietà! Sparite e Tanima 
possa scordarvi! È vero; alle sottili 
malie create dal pensiero, l’impeto 

del cor soggiacque ; 


l’ardor soggiacque della bella e forte 
mia giovanezza in inseguir con ansia 
mai paga la fuggente ala dei canti, 

l’ala dei sogni; 


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Risveglio 


20 [ 


ed ora stanca (oh come stanca!) io guardo 
di quei vaghi e malvagi elfi il migrante 
stuolo... Laggiù, nel gran deserto, Tultimo 

ecco è scomparso. 


Ma voi, voi pure, ombre crudeli, inganni 
non siete del pensiero ? un sogno ? un vóto 
sogno voi pure?... Oh per pietà, sparite! 

forse non mai 


dairoriente a me veniste, i rami 
verdi recando e i fior, forse non mai 
foste, voi pur, nuU’altro mai che larve 

belle ed inique. 


Via, dunque! via! fantasmi, ombre, chimere, 
via dunque velenose ecati, in nome 
di Dio, lasciate finalmente in pace 

Tagonizzante ! 


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TRIONFO... 


Grazie, grazie, o nemico! 

Tutto quel che di frale, 
di basso e di mendace 
nutriva in me lo spirito del male, 
or dentro la percossa anima tace. 


Io colle mani strette, 
senza pianto e parole, 
tranquillissima in volto, 
nel cor ferito, che piegar non vuole, 
l’imperversar della tua voce ascolto. 


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2o6 


Risveglio 


E una superbia viva 
io provo, io che più forte 
di te mi sento, o amore 
dei martiri, o fratello della morte, 
o divino carnefice, o dolore! 


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NEL BOSCO. 


I. 


Suona il bosco che Aprile agita; olezza 
l’aria; tra i rami la campagna aprica 
ride; e ancora mi parli, o giovanezza, 
e ancor t’ascolto o mia morente amica. 


È tardi, è tardi! e vana è la fatica 
— o sola della vita alta dolcezza! — 
che il bisbigliarmi la lusinga antica 
ti costa. È triste l’ultima carezza! 


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208 


Risveglio 


È tardi, è tardi! rassegnata muori, 
nè pensar che d salvi ira o lamento; 
è la tua sorte la sorte dei fiori 


nati di foglie sotto avaro velo, 

di fior cresciuti in triste isolamento, 

che un sol non vider mai lembo di cielo. 


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Nel bosco 


209 


II. 


O Messer Lodovico, oblio domando 
al gaio verso che la varia sorte 
narra ed il lungo vaneggiar d’Orlando, 
oblio per tutte le mie gioie morte!... 


Ecco; per me del mio Ruggiero in bando 
cadon d’Atlante le incantate porte, 
libera anch’io, guerriera anch’io, col brando 
movo a torlo d’Alcina alle ritorte. 

27 — Aganoor. 


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210 


Risveglio 


Suona il bosco. Laggiù tra scure fratte 
è Angelica che fugge? O tempestosa 
di Baiardo che vien la zampa tuona? 


È Bradamante che sfidata abbatte 
il re di Circassla, poi, non pensosa 
che dell’indugio, a tutta briglia sprona? 


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Nel bosco 


2II 


ni. 


Oh se mai di laggiù, dietro quel folto 
non d^Euro nato volator corsiero, 
non divina beltà, non cavaliero 
d’armi raggiante o in persi drappi avvolto; 


ma sulla fronte arruftatello e nero 
il crine, e dietro in lunghe trecce accolto ; 
ridente il bruno ritondetto volto, 
sfavillante l’aperto occhio sincero. 


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212 


Risveglio 


venir vedessi una fanciulla e intorno 
volger lo sguardo soddisfatto e buono 
quasi pensando: — Tutto il mondo è mio! — 


E dir la udissi: — Vedi? a te ritorno, 
la tua risorta giovanezza io sono, 
guarda; non sogni, no; guarda, son io! — 


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TENTAZIONE. 


Sul fragor del torrente 

protesi il capo dalla rupe scura, 

ròsa da mille rivi, 

e pensai: — Che ideale sepoltura 

in quegli abissi, eternamente vivi 

di vive onde di voci e di tempeste! 

Cosi, cosi cantare 

con voce più possente 

dei turbini traverso alle foreste, 

con Timpeto del mare! 

Ma poi che invano cerca questa mia 
anima, per irrompere in superbo 


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214 


Risveglio 


clamor, che scota i baratri e le cime, 
la sua dirotta via 

tra le scogliere asprissime del verbo; 

poi che il varco sublime 

non s’apre, e in onde chiare 

e forti, non prorompono le rime 

ruggendo della gloria incontro al mare; 

della sonante roccia 

per le muscose spire 

meglio come una goccia 

cader nel fondo, perdersi, sparire!... 


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PAX. 


Una donna velata e frettolosa 
giunse là dove un popolo ribelle 
un altro urgeva ; e Tasta contro Tasta 
cozzava, e correa sangue, tenebrosa 
fiumana al lume delle rare stelle. 

Protese ella le mani e sciamò: — Basta! 


Da lungi allora, scarmigliate, a torme, 
venner le madri, e curve sul terreno 
tersero il sangue e i vulnerati forti 
sorressero... La notte sulTinforme 
ruina, e delle fiaccole al baleno 
un volto esangue o un cumulo di morti. 


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Risveglio 


Non più, d’intorno agli stendardi cretti, 
squilli e ruggir d’inferocita gente. 

Solo qualche sospiro udiano i cieli 
muti, o Tansar degli anelanti petti. 
Quando il di sorse, vòlta ad oriente 
gittò, la donna frettolosa, i veli, 


e apparve bianca e sorridente al sole. 
La parola che disse unica e pura 
echeggiò delle valli nel profondo, 
suscitò rose alle cruente aiole, 
mèssi ne’ solchi, e dalla insania oscura 
della guerra, impetrò libero il mondo. 


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LA PORTA DI BRONZO. 


Un uomo batte ad un’antica porta 
di bronzo, ma nessuno ode. La Luna 
appena mette una scintilla smorta 
sulle sfingi dei fregi e suUa bruna 
man di colui che batte a quella porta ; 
non s’ode voce nè risposta alcuna. 

Sola l’eco dai cupi anditi porta 
il rimbombo dei colpi alla soggetta 
palude, intorno alla campagna morta, 
dove luccica a gore la costretta 

Aganoor. 


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2i8 


Risveglio 


acqua livida e trema la ritorta 
vetrice alla pestifera belletta. 

Non trillo d’alati ospiti conforta 
quel deserto, nè strige a quelle in vetta 
nere torri giammai la Luna ha scorta. 
Chi sa da quanto il pellegrino aspetta? 
Chi sa da quanto batte a quella porta 
cinto dalla maremma maledetta? 


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FANTASIA. 


Dalle morte ninfee, che nella vasca 
del vecchio parco il gelo ha soffocate, 
tra poco un fiore portentoso nasca. 
Con la verghetta di malie, vogliate 
il prodigio compir, dolce signora 
delle mie notti e delle mie giornate! 
Salga lo stelo, e in bel color d'aurora 
s'apra il calice, un calice d'opale 
immenso sopra la gelata gora; 
e intorno effonda come un boreale 


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220 


Risveglio 


lume, e tra i bossi il bianco Erote rida, 
ridan Terme al novissimo natale. 
L’Inverno creda Aprii giunto, alla sfida 
superba, e avvolga i suoi tappeti bianchi, 
e fiigga, e il grave carico lo uccida. 


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L’EGRO DICEA... 


L’egro dicea: — Perchè non viene? È troppo 
lunga l’attesa al mio tormento fiero! — 

S’udl nella notturna aria un galoppo 
e tutta bianca sul cavallo nero 


passò rapida innanzi a quelle porte 
spalancate. Protese egli le braccia 
e la chiamò per nome: — Morte! Morte! — 
Ella rivolse un attimo la faccia, 


poi come nulla avesse visto e nulla 
udito, sferzò via, verso la fonte 
donde attingea cantando una fanciulla, 
la ghermì lesta e sparve dietro il monte. 


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L’ O R A. 


Un altro squillo, un attimo, c fischiando, 
ansando, col fragor del tuono, è in fuga 
novellamente. Accorrono le genti, 
s’affrettano, s’accalcano, assaltando 
i carri. Lesti, via! chè non attende 
la vaporiera!... 

Senza annuncio e senza 
fragor, ben altra pellegrina in celere 
corsa pur viene, e noi dati ai letarghi 
accidiosi d’infecondi giorni 


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L'ora 


225 


non la vediamo nè Tudiamo, eterea 
giungere. Bene incontro a lei potremmo 
affrettarci, traendo opra e pensiero 
alle regioni delFamore o della 
gloria; ma inerti a rimirar mutevoli 
forme di nubi, o qualche antico sogno 
risognando, indugiamo in folli attese 
di prodigi. Cosi, mentre si attarda 
fascinato da vane ombre lo spirito, 
ecco, una direttissima è passata 
tacitamente per Teternità. 


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PER VIA. 


Mi andava innanzi, curva, con un bimbo 
in collo, e il bimbo dietro a lei guardava, 
proteso il volto paffutello e il nimbo 
ricciuto, d’in su l’omero deU’ava. 


O fresco volto, o vecchio omero! Tale 
d’una muraglia antica e rovinosa 
ai merli, su dal chiuso parco sale 
e s’affaccia, ridente occhio, una rosa. 


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PER LA LUNA. 


Chieder che vai scaltra ventura, un giorno 
lontano, ebbe Febea? Se aperse Tale 
giammai Paria nel tacito soggiorno 


cui spesso la sognante anima sale, 
e se delPacque le sonanti stille 
risero dentro i chiari antri d’opale? 


Non forse è noto a noi che mille e mille 
occhi d’adolescenti e di vegliardi, 
pupille fosche e fulgide pupille, 

29 — Aganoor. 


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226 


Risveglio 


Sguardi di donne innamorate, sguardi 
di asceti, accesi in foco di preghiere 
o di credenti negli Dei bugiardi 


si rivolsero a lei, lei di chimere 
popolando e di sogni? Alla superba 
umanità, che giova altro sapere? 


Ella è Tintatta pisside che serba 
il raggio di quei mille occhi, e il segreto 
dell’alta gioia o dell’angoscia acerba 


che quel raggio dicea; sa l’inquieto 
attender dei fanciulli, e l’indefesso 
rimpiangere dei vecchi il tempo lieto 


di giovanezza; nè mirarla adesso 
potremmo, senza che di là favelli 
a noi quel mondo di fantasmi, espresso 


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Per la luna 


227 


dalle legioni dei morti fratelli 
che la \àdero anch’essi, nelle chiare 
notti, precinta in vaporosi anelli, 


o come specchio tersa, attraversare 
lenta gli azzurri pelaghi, nei suoi 
muti viaggi sovra Palpi e il mare 


con immensa pietà guardando a noi. 


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LEGGENDO MAETERLINCK 

(Les sept princesses). 


Vecchi manieri entro foreste fìtte 
che mai che mai non attraversa il sole... 
Il mar lontano piange, e le fontane 
piangono, c paion pianto le parole 
di chi dimora in quelle reggie strane. 
Sono spettri, e pur ardono le vene 
di quegli spettri in contenuto ardore. 

Un mistero di sogni e di dolore 
tutto avvolge, tutto empie e tutto tiene. 
Mentre si muore, là, dentro il castello 


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Leggendo Maeierlinck 


229 


oscuro e solitario, ove la Luna 
mette appena un sottil filo d’argento, 
s’odon, di là dalla selvosa duna, 
i marinari dar le vele al vento 
cantando i porti ove agile il lavoro 
ferve, e i liberi cieli, e le gioconde 
terre, ove ingemma il colibrì le fronde 
delle palme alte sui tramonti d’oro. 


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CHE COSA IO TEMO 


(da Dobroìinbotu). 


Morrò, va bene; il mio spirito è forte. 
Ma, confesso la santa verità, 
qualcosa io temo: io temo che la morte, 
sbarcandomi al di là. 


voglia giocarmi anch’essa un maledetto 
tiro, e lagrime ardenti cadan sopra 
la mia gelida spoglia, e il cataletto 

qualcun di fiori copra 


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Che cosa io temo 


231 


per vano zelo, e in amorosa folla 
traggan gli amici dietro alla mia bara. 
Temo — appena scomparso entro la zolla 
del camposanto — in cara 


ombra mutarmi, oggetto alto d’amore; 
e sul mio sasso fiocchi a tutto spiano 
tutto quel che da vivo avido il cuore 

chiese, ma sempre invano. 


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SOGNO. 


Io con iscalzi piedi, o Damone, 
non vado ai campi, nè mai con braccia 
ignude, ed alto nella nodosa 
mano il vincastro, guidai la fulva 
giovenca al verde fonte, nè filo 
Fumile canape, nè mai sui tini 
salgo a pigiare l’uve, nei giorni 
alla vendemmia sacri e di canti 
lieti e d’amori. Io non conobbi 
mai la divina libertà; mai 
la gran dolcezza pur dei ritorni 


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Sogno 


23$ 


sul vespro estivo con lui, che tutto 
il di fe’sempre balenar presso 
al mio falcetto, tra’solchi, il suo. 
Tornare sotto le stelle, stanca 
e pur beata, fra Taltre tante 
compagne, e pure sola con lui, 
tacendo e pure tante e amorose 
parole udendo, dicendo... Oh immenso 
sogno di gioia che me, rinchiusa 
qui tra le seriche pareti, accende 
d’un desiderio folle di vita! 


30 — Auanoor. 


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DIALOGO. 


Noi parliamo, ma so io 
quel che pensate 
veramente? E voi sapete 
quello ch’io penso? 

Van le parole e un sottile 
velo di riso 

spesso ne maschera il senso. 


* 


Noi parliamo... Ma d’un’altra 

voce voi certo 

udite il suono; d’un altro 


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Dialogo 


235 


accento io pure 
credo ascoltare la strana 
eco... Ad entrambi 
parlano due sepolture. 




Noi ridiamo anche, ridiamo 

forte, e la gioia 

brilla negli occhi al baleno 

vivo d’un motto 

fine. In che abisso del core 

chi dunque intanto 

scoppia in un pianto dirotto? 


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ABENÈZER. 


Abenèzer è un vecchio, un mesto e dolce 
vecchio dagli occhi azzurri, due strani occhi 
che forse han molto pianto (io dico: forsé)^ 
ma in un tempo lontano ; ora son limpidi 
come il ciel, dopo un lungo temporale. 
Abenèzer dinanzi alla sua nera 
scrivania, tra i volumi neri, e tutto 
coperto anch’egli d’una nera toga, 
oggi non è tranquillo, oggi non trova 
carta nè penna docili, gli cade 
di mano tutto, i suoi libri rifiutano 
d’aprirsi obbedienti... 


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Abenè:(er 


237 


È forse Taria 
troppo viva, Abenèzer?... Dalle aperte 
finestre entra un odore, un fresco odore 
di foglie nove e di cielo sereno... 

Ecco ha smesso Abenèzer di cercare 
tra* suoi volumi, e sulla sedia, inerte, 
con gli occhi alla campagna ampia, rimane 
perso in un sogno antico... 

— Eh via che Torà 

fugge! — 

È già in piedi, ad ogni libro toglie 
la polvere con cura e piega e ammonta 
le carte sparse; ad ogni oggetto assegna 
un posto novo e nella stanza, a mano 
a mano, tutto par sorrida e brilli... 

Abenèzer, chi aspetti? In festa frusciano 
le tende alle finestre, entra più fone 
l’odor del novo verde e dei nascenti 
fiori... Il cielo ha il color di quel lontano 
Aprile... ti ricordi?... Son passati 
tanti anni!... Ora Abenèzer si risiede; 
nessuno invero aspetta e chi potrebbe 


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238 


Risveglio 


rammentarsi di lui? Nessuno aspetta 
Abenèzer, nessuno! Un core amico 
non ebbe mai; tutti son morti i pochi 
parenti; tutti! Ed Abenèzer cerca 
da tanti anni, nei libri, una parola 
che gli riveli, perchè nacque e visse 
sempre infelice... Il bene? egli lo fece 
quanto e come potea, sempre; non ebbe 
mai conforto d’altrui. Ma spera, e crede, 
crede all’anima sua possente e viva 
oltre i secoli. Ancora un breve esilio 
e ascenderà poi libera, all’ignota 
mèta per gradi... 

Come in festa tutto 
brilla d’intorno! un’ospite, un’attesa 
ospite certo dee venir... 

Più intenso 

nella tepida sera arriva il dolce 
odor dell’erbe e dei nascenti fiori. 
Abenèzer, sta pronto! Eccola, viene, 
viene!... Come gli palpita e sussulta 
il vecchio cor! come si velan gli occhi 


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Abenè^er 


239 


neH’attesa!... Ella viene! eccola! alfine 

qualcun lo cerca !... Nella rosea sera 

ella venne per lui, per lui traverso 

le praterie di mammole coperte, 

tutta impregnata di fragranze e il grembo 

pieno di rose. Bianca nella bianca 

veste; gli occhi sereni, il labbro schiuso 

a una parola come un soffio lieve, 

per man lo prende e gli bisbiglia: — Fieni! — 


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ANCORA NEL VECCHIO PARCO. 


Vecchie piante, acqua corrente 
che volete voi da me ? 

La parola onnipossente 
nel mio core più non è. 


I colori, le canzoni 
io vi diedi un di, lo so; 
ma non tinte, ma non suoni 
io mai più darvi potrò. 


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Ancora nel vecchio parco 


241 


Or tu passi uggiosa e muta 
acqua, e il fine tu non sai; 
alla mèta sconosciuta 
docilmente te ne vai. 


Vecchie piante, voi crescete 
sotto il sole, sotto il vento, 
non più tristi, non più liete 
in un cieco assentimento. 


Tale adesso ormai sopporta 
il suo fato, indifferente, 
il mio core, dove è morta 
la parola onnipossente. 


Aganoor. 


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POIESIS. 


In quale sera * limpida ? Da quale 
cielo migrando alle terrene porte 
discese questa pia che un immortale 
nimbo cinse alla morte 


di simboli, di sogni e di mistero, 

Prisca Dea, che d’ogni altra trionfante 
Lampi accese nei ciechi occhi d Omero, 
fiamme nel cor di Dante? 


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Poiesis 




Per tutto vive, ed or sulle nivali 
cime dell’Alpi ride, ora s’ammanta 
di tenebre, fuggendo ebbra sull’ali 
dell’uragano e canta. 


Tutto a lei si rivela; e i rovi, e l’erbe 
umili delle selve, ove non sole 
penetra, e i muschi, appiè delle superbe 
querci, han per lei parole. 


Lei che palpita e freme nel ruggito 
del mar; lei che nell’estasi d’amore 
svela passando un raggio d’infinito 
al nostro intento cuore... 


Sin fra le tombe ella consola il grande 
silenzio con la sua mistica voce; 
veste di raggi e cinge di ghirlande 
ogni povera croce. 


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244 


Risveglio 


Nelle notti d’Aprii, sparse le belle 
trecce sul peplo candido, il profondo 
sguardo rivolto alle tacenti stelle 

passar la vede il mondo. 


* 


O voi, che i vostri palpiti e i tormenti 
vostri, e Tebbrezza dei segreti amori, 
neU’impeto febeo gettate ai venti 

come un pugno di fiori ; 


ben la vedeste, o giovani poeti, 
bene udiste la Dea dirvi : — « La terra 
• altri amori, altre angoscie, altri segreti 
dei vostri, in grembo serra! 


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Poiesis 


245 


Ecco preghiere, e gemiti, e feroci 
urla d’oppressi, d’egri, di ribelli. 

Non le udite? Son mille e mille voci, 
sono i vostri fratelli 


che implorano; son anime affannate 
gementi sotto il peso che le grava. 
Voi non sapete che cantar? Cantate! 

ma come Alceo cantava! 


E sia squillo di tromba ai combattenti 
la strofe; e il verso balenando cada 
sugli apostati, i vili, i prepotenti 
come colpo di spada. 


Ma non fomite all’ire e non veleno 
perfido scenda nei già gonfi cuori; 
ma l’inno assorga libero e sereno 

sui vinti e i vincitori. — 


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246 


Risveglio 


Non la udiste cosi cantarvi, o forti 
nostri figli, o suoi giovani soldati? 
E non vi giunse Tevviva dei morti 
al suo passar destati?... 


Va la vittoriosa e novi ardori 
e più gagliardi palpiti raccende 
or d’ombre avvolta, or cinta di splendori 
le simboliche bende. 


Nelle notti d’April, sparse le belle 
trecce sul peplo candido, il profondo 
sguardo rivolto alle tacenti stelle 

passar la vede il mondo. 


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NATALE 1895! 


È Natate! o fratelli 

lontani, o creature 

chiuse dentro gli avelli, 

o fantasmi scomparsi 

delEobllo nelle immense sepolture; 


a voi tendo le braccia, 
a voi volgo smarrita 
la lagrimosa faccia, 
a voi, che me vedeste 
il limitare ascender della vita. 


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248 


Risveglio 


Oh tornatemi intorno! 

oh ch’io da voi, siccome 

in quel lontano giorno, 

dir oda : — l'ora, vieni, 

vieni! — e chiamarmi oda da voi per nome. 


La mia piccola mano 
teneramente presa 
— come in quel di lontano — 
io senta dalle vostre, 
e sia notte, e laggiù brilli la chiesa. 


Cosi per Tampia strada 

piena d’ombre e misteri 

da voi protetta io vada 

nulla temendo, e siano 

tutti pieni di luce i miei pensieri. 


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Natale.,, i8^y 


249 


Io non sappia che oscuro 

d’imminenti procelle 

ci sta sopra il futuro; 

io sogni come allora, 

in quella notte, un gran sogno di stelle. 


Nulla io sappia del folle 
mondo; di forsennate 
stragi per poche zolle, 
di madri che ai figliuoli 
tendono invan le braccia disperate ; 


nulla io sappia e soltanto 

come allora, nel suono, 

o piuttosto nel canto 

delle campane, io senta 

una grande promessa e un gran perdono. 

3 a — Aganoor. 


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IL CANTO DELL’IRONIA. 


La tenebra scende; che importa.^ 
Il canto — sia d’astri e d’aurore. 
Assai fu nel tempo il dolore, 
assai ci pascemmo di pianto! 


Veloci precipitan gli anni? 

Cantiamo — le rondini e il maggio 
non trilla il decrepito faggio 
se un nido s’appende al suo ramo? 


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77 canto deirironia 


251 


Di sogni cosi nella prona 
mia testa — uno stormo annidò; 
di dove migrati non so, 
ma cantano e trillano a festa. 


I larghi tripudii del vento, 
i rivi — che il Maggio conduce 
com’ebbri di gioia e di luce 
tra un brivido d’erbe, pei clivi: 


le notti stellate sul sonno 
dei monti — al sereno albeggiare 
l’odor delle selve, e sul mare 
l’augusta beltà dei tramonti: 


le cose possenti, le cose 
gioconde — non altro essi sanno. 
Che importa se chiude un inganno 
l’azzurra innocenza dell’onde? 


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252 


Risveglio 


che importan gli abissi e che il sole 
indori — ogni fango, e la fresca 
ninfea l’acqua putrida cresca, 
e strisci la biscia tra i fiori; 


se tutte improvvisa dischiude 
le porte — di luce, e il vitale 
segreto del bene e del male 
l’immensa bontà della morte? 


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PER LE NOZZE DI DONNA LAURA RUSPOLL 


La Serenata. 


Le cose belle che volevo dirti 
se Tè bevute il mare; 
bisognava di perle a popolare 
le sue squallide sird. 


Le parole più tenere e amorose 
che ti volevo dire 
se Tè rubate il lido per fiorire 
le sue siepi di rose. 


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254 


Risveglio 


E quelle che il desio non dettò, quelle 
dell’anima, incorrotte... 

O mia dolcezza, le ghermì la notte 
per vestirsi di stelle. 


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L’ANELLO DEL MORTO. 


Chi lo portava nude adesso e rigide 
tiene le mani in croce, e non le stende 
mai, nè più mai s’animeran d’un fremito. 
Or quell’anello sul mio dito splende. 


Splende al raggio del giorno e splende ai vividi 
doppieri, come quando egli, il giocondo 
capo d’adolescente erto, i miracoli 
tutti poteva interrogar del mondo. 


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5^ 


Risveglio 


Va la mia mano sulla carta e sprizzano 
baleni dalla gemma. Anch’io, fornito 
il breve giorno, pregherò che cingasi 
di questo istesso anello un altro dito; 


e quando questo, ben di noi men fragile 
cerchietto, splenda sovra un’altra mano, 
anch’io sarò sotto la terra, immobile, 
indifferente ad ogni dramma umano. 


Diol... Già mi vedo, come in sogno, chiudere • 
nella bara, per sempre al buio, e un lento 
strisciar, succhiar d’animaletti gelidi 
sulla mia carne irrigidita io sento. 


Dio !... Forse intanto, al chiaro giorno, un libero 
vivente troverà questa ingiallita 
carta tra vecchie carte, questa pagina 
che calde adesso toccan le mie dita. 


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Vanello del morto 


257 


Vedrà queste sottili aste che rapida 
traccio sul foglio, mentre pieno il senso 
della vita mi tiene, e pulsa il sangue, 
e vedo, odo, desio, palpito, penso. 


Egli si chiederà: — Neri ebbe 0 cernii 
occhi?,,, fu bella?,,. Ed io nella macabra 
mia prigione, laggiù, riderò Torrido 
riso dei morti che non han più labra. 


— AgaNOOR. 


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SILENZIO. 


Ei viene. In un istante 
ogni suono è caduto; 
viene con passo muto 
della notte Tamante. 


Di stelle una corona 
sul capo egli le allaccia; 
apre le immense braccia 
e tutta ella si dona. 


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Silenzio 


259 


Non parole interrotte, 
non gemiti d’amore 
ode dal suo signore 
nell’estasi la Notte; 


ma ben per lei, che sola 
ne intende il dolce senso, 
egli canta un immenso 
inno senza parola: — 


« Ho mille regni, o mia 
unica, e tutta io voglio 
pel mio supremo orgoglio 
dirtene la magia. 


Vedi? Dei sogni aperti 
al taciturno volo 
son miei l’algente polo 
e i torridi deserti; 


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200 


Risveglio 


mie le città superbe 
che strusse la divina 
ira; quella ruina 
veston licheni ed erbe; 


tra i portici dipinti 
s’aggira il gufo, assale 
l’erica sepolcrale 
delle colonne i plinti. 


e lesto il mandriano 
per quelle vie passando 
zuffola sogguardando 
ed agita la mano. 


Ma solo, io solo, il forte 
palpito ancora ascolto 
del popolo sepolto 
sotto le città morte, 


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Silenzio 


261 


e solo intera io sento 

la bellezza suprema 

dell’edera che trema 

sugli archi eccelsi al vento. » — 




La Notte ascolta, immersa 
nel sogno, e il mondo tace. 
Ma occulta, nella pace 
come un’onda si versa 


continua, da ignote 
polle in marine ascose 
recando delle cose 
al silenzio devote 


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202 


Risveglio 


la parola segreta; 
Tinno senza parola 
che tutto intende sola 
Tanima del poeta. 


* 


« Io sono TAlba e t'amo. 
Per te le gemme io sento 
schiudersi, e il succo, lento 
salir dai ceppi al ramo. 


Mentre gli uccelli a festa 
scoton Tali, la spira 
snoda il serpe, e sospira 
il dolor che si desta. 


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Silenzio 


263 


odo TAlpi d’intorno 
dir nell’alto a lontani 
culmini di vulcani: 

— Ancora un altro giorno! — 


E al mar che flagellando 
le va, senza potere 
sbramarsi, le scogliere 
chiedere: — Fino a quando? — 




Noi siamo le foreste, 
le foreste che degni 
eleggere a’tuoi regni 
nelle segrete feste. 


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264 


Risveglio 


La tua malia, sognanti 
ci tiene in un’attesa 
di prodigi, un’attesa 
di fantasmi giganti; 


e ben tornano a noi 
nelle tranquille sere 
Tombri dolci e severe 
dei santi e degli eroi... 


Passano: è quei che cieco 
mori, ma dei pianeti 
i viaggi segreti 
spiò, vegliando teco. 


È quel meditabondo 
spirito di veggente 
che ad una ingrata gente 
dischiuse un novo mondo. 


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SUenijo 


265 


È il tuo devoto, il forte 
Ghibellin fuggitivo, 
che potè scender vivo 
ai regni della Morte... 


Passano : agli alti veri 
cui tendevano, solo 
tu dirizzasti il volo 
degli erranti pensieri. 




Il cor dice: — « O figliuolo 
d’Iside, tu nell’ore 
del supremo dolore 
solo m’intendi, solo 

— Ar, \NooR. 


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Risveglio 


mi sei rifugio; e quando 
Toflesa eccede, e invano 
ad un accento umano 
la riscossa domando. 


tu, muto Iddio, che sdegni 
Tonta che non ti tocca, 
col dito sulla bocca 
la rampogna m’insegni. » — 


Tutte le cose in sordi 
bisbigli d’aromali 
atomi, e ritmi d’ali, 
ripetono concordi: 


— « Tu, che schiudi le porte 
dei fantasmi ai poeti, 
tu, che certo i segreti 
conosci della Morte; 


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Silenzio 


267 


tu che imperi a le belle 
feste deir Alba e tieni 
in tuo giogo i sereni 
pelaghi de le stelle; 


non mai, non mai sian rotte 
le magie del tuo regno, 
o grande, o solo degno 
amante della Notte! » — 


Va il coro di segrete 
voci senza parola 
e, in mille forme, sola 
una lode ripete; 


va, come una profonda 
fiumana, a ignota foce, 
tranquillo, con la voce 
monotona dell’onda... 


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O PAROLE 


O parole, che a frotte 
correte il mondo, eterne 
forme, nate con Tuomo, nella notte 
della sua patria torbida e lontana; 
lamento e prece, cantico e ruggito 
di questa prigioniera anima umana; 


o sfingi, che forniste 
le terribili vampe, 
e le pegole e i ghiacci delle triste 
cerehie infernali a Dante, e il gran sorriso 
di luce, onde la sua candida rosa 
irraggia Tinfinito Paradiso; 


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O parole. 


» 


26 9 


Stelle non siete, o fiori; 

ma dei fior, de le stelle, 

tutti grincensi e tutti gli splendori 

noi vi sentiamo effondere, e cantare 

come usignuoli o nello sdegno irrompere. 

ed emular le collere del mare. 


• Salve, salve, o sirene ; 
o chimere ; possenti 
maghe! da voi, solo da voi ci viene 
la dolcezza o l’amaro, il buio o il sole; 
voi la forza del mondo e la bellezza, 
voi la fiamma, voi l’anima, o parole! 


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GLORIA. 


È un aspro di graniti orrido monte; 
ma, quando tace ne le valli il coro 
delle spigolatrici, ancor la fronte 
cinge d’una superba infula d’oro. 


Vi corre il volgo dalle voglie pronte, 
e non trovando in quella via ristoro 
d’iina grotta muscosa o d’una fonte, 
all’ombra torna e al facile lavoro. 


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Gloria 


271 


Seguono alcuni, ma ben sa fiaccarne 
lo scarso ardir quell’erta, e a mezza costa 
s’arresta il più della pensosa schiera. 


Lasciando brani di vesti e di carne 
alle rocce taglienti, altri non sosta 
c sale e giunge e pianta una bandiera. 


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i 

1 


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INDICE. 


A Giuseppina Pacini Aganoor mia madre . . Pag. r 

Prefazione. « Mai ». » ^ 

Leggenda Eterna. 

Il Canto dell’amore. P^g- 1 

Il Canto del dubbio.» 8 

Il Canto dell’odio.» io 

Adolescentula.» n 

Finalmente!.» 14 

« Tutto quel che l’orgoglio.».«15 

35 — Aganoor. 


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274 


Indice 


L’Ave. Pag, i6 

« O dolce notte.».■ I7 

Ritorno.o i8 

Due Novembre.» 19 

A un Colibrì imbalsamato.» 21 

Aprila.» 24 

« Quando ti vidi per la prima volta.». . » 26 

Impressioni di salotto.» 27 

In treno.» 28 

Sotto le stelle.» }0 

« Stelle chiare »..» 32 

« La vecchia anima sogna ». '^33 

Diario.» 36 

Intermezzo. 

Paesaggi (Nel vecchio parco). Pag, 49 

Impressioni veneziane (Una processione in Cannareggio) » 51 

Schizzo.»53 

Dicembre » 55 

Grandinata.» 56 

Vespero. ”59 

Visione.» 61 

Val di Sella (Tirolo).» 62 

Paesaggio estivo.» 64 


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Indici 


275 


Pioggia. 

. Pa^. 

66 

Canto d’Aprile. 

. » 

68 

Per mia sorella malata. 

» 

70 

Pioggia d’autunno. 

. » 

72 

Nova primavera . .. 

. 

75 

L’ultima primavera. 

» 

78 

Notturno. 

. )) 

81 

Dalla terrazza. 

tì 

84 

Pagina di diario. 

. 

91 

<c È nel mio sogno. w. 

» 

95 

Risveglio. 




Risveglio 

. Pag. 

97 

« Noi vogliamo.» 

.» 

100 

Vespero d’aprile . 

)> 

lOl 

Rinuncia 

. . . . . . « 

106 

Accanto al foco . 

» 

108 

Madrigale 

.» 

112 

« Sotto il ciel.» 

.» 

114 

5 marzo 1896 

*) 

115 

La Strega 

» 

118 

Gloria .... 

. . . . . . » 

124 

Domani 

» 

126 

Febbre .... 

.„ 

128 


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Pel monumento a G. Zanella. Pag. 130 

Reversibilità. 

La cometa di Tempel.» 136 

Biasimo.» 138 

Ore tristi.» i}9 

. 141 

Inferma.» 143 

Natale. 1^94 ......... 147 

« Sotto la mia finestra.».« 149 

I Cavalli di San Marco.« 151 

Alba.» 166 

Varo.» 172 

A mio padre.» 174 

« O Morti!... n .» 181 

L’Equivoco.» 183 

« E non saperlo dir.».» 185 

Fantasmi di grandi.» 188 

Pel monumento a Shelley. *191 

Pasqua di Resurrezione.» *93 

Mystica.» 195 

Debilitas.. 

Agonia. »»*99 

Trionfo. 205 

Nel bosco. 207 

Tentazione.» 213 

.» 215 

La porta di bronzo.» 217 


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Indice 


277 


Fantasia. 

Pag. 

219 

« L’Egro dicca.» . . . . 

» 

221 

L’ora . 

. . . » 

222 

Per via. 

» 

224 

Per la Luna. 

. . . » 

225 

Leggendo Maeterlink .... 

. . . » 

228 

« Che cosa io temo. »... 

. . . » 

250 

Sogno . 

. . . » 

232 

Dialogo. 

» 

234 

Abenèzer. 


236 

Ancora nel vecchio parco 

» 

240 

Poiesis. 

» 

242 

Natale. 1895. 

. • . » 

247 

Il Canto dell’ironia .... 

. . . » 

250 

Per le nozze di Donna Laura Ruspoli 

. » 

i 53 

L’Anello del morto .... 

» 

255 

Silenzio. 

, . . » 

258 

« 0 parole.». 

. . . » 

268 

Gloria. 

» 

270 


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